Afghanistan, il coraggio della sindaca Zarifa
giovedì 30 aprile 2020

L'intervista avviene attraverso WhatsApp: la sindaca preferisce inviare risposte vocali mentre continua a svolgere il suo lavoro. L'ultimo audiomessaggio è quello che più impressiona: «Voler vivere da eroe è abbastanza normale, chi non vuole farlo? Ma quando la vita finisce, è allora che la gente deve ricordarti come un eroe. Anche io desidero vivere da eroe e da modello per la mia gente. Ma desidero soprattutto poter morire da eroe - perché so che un giorno morirò - lavorando sempre di più, di più, di più per la mia gente, per il mio Paese». La prospettiva è drammatica, per la 28enne Zarifa Ghafari, la prima sindaca donna di una città afghana (e a tutt'ora ce n'è solo un'altra) e anche la più giovane. Nel luglio 2018, quando è stata nominata dal presidente Ashraf Ghani, di etnia pashtun come lei, dopo un severo processo di selezione (unica donna su 138 candidati), una manifestazione aggressiva di uomini le impedì di entrare nel palazzo municipale. Dopo cinque mesi, messa in sordina l'ostilità dei potentati locali, tornò e disse: «Sono qui, questo il mio posto e qui resterò».

Zarifa è una giovane donna esile, parla un ottimo inglese grazie a studi universitari in India e ha una già intensa esperienza di impegno civile, da ex componente del Parlamento dei ragazzi della sua provincia, Wardak, e da fondatrice di una ong di assistenza e promozione delle donne afghane. Maidan Shar, la città a meno di 50 chilometri a sud-ovest di Kabul che amministra, è cresciuta a dismisura: se i registri del 2003 riportavano 43mila abitanti, oggi sono almeno 300mila, con una sola scuola superiore di circa 1.000 alunni; l'anno scorso si sono diplomate appena 13 ragazze. «L'80 per cento delle donne di Wardak non è istruito. Nella mia amministrazione ho scelto due donne, agli Affari finanziari e alle Questioni femminili, ma la mentalità è ostile, soprattutto nelle aree rurali le donne non sono accettate nella società».

La riprova di quanto sospetto e odio circondi questa ragazza coraggiosa è che il 22 marzo la sua auto è stata raggiunta da colpi di pistola mentre viaggiava a Kabul, dove risiede, perché, paradossalmente, ritiene Maidan troppo pericolosa per viverci stabilmente. «Ma io non mi arrenderò mai», ripete. Il suo modello è la madre, sposa bambina. «Mi ha avuta a 16 anni, sono la prima di otto fratelli e oggi è una dottoressa. Ho sempre pensato che avrei voluto essere come lei: una ambasciatrice di speranza, un esempio di cambiamento possibile, una ambasciatrice delle donne afghane nel mondo».

La sindaca Zarifa Ghafari a Washington tra Melania Trump e il segretario di Stato Pompeo il 6 marzo 2020

La sindaca Zarifa Ghafari a Washington tra Melania Trump e il segretario di Stato Pompeo il 6 marzo 2020 - Dipartimento di Stato Usa, common

Zarifa è conscia di essere un modello per le giovani afghane, presiede una stazione radio dedicata all'emancipazione femminile e il 4 marzo ha ricevuto a Washington, vestita con un abito ricamato tradizionale, il premio International Woman of Courage del Dipartimento di Stato. Ora dal suo ufficio di sindaca cerca di supportare materialmente le donne più povere e di incontrare le donne laddove sono presenti: nei mercati, nei negozi, parchi. fermate del bus per guadagnarne la fiducia.

Cosa le rende più difficile lavorare, la sua giovane età o il fatto di essere donna? "Quello che mi rende difficile lavorare è la mentalità della gente. La donna non è ben vista se lavora, perché la gente non crede in un ruolo positivo delle donne nella società, pensa che il suo ruolo sia in cucina e in casa, a occuparsi del marito dei figli. Sto lavorando per avere più donne nella mia amministrazione, questo mi aiuterebbe e aiuterebbe anche l'emancipazione femminile".

«Avverto l'orgoglio e la responsabilità di essere un modello – continua in un altro messaggio vocale registrato mentre percorre le strade di Maidan controllando che la popolazione rispetti le misure anti-coronavirus –. Quando attraverso la mia città, il mio Paese e quando viaggio all'estero sento intorno a me il supporto di molti e desidero esserne all'altezza lavorando al meglio delle mie possibilità per provare a chi mi sostiene di esserne all'altezza».

Il processo di pace tra il governo afghano e i taleban, dopo la ritirata dei soldati americani, per ora, secondo la sindaca Zarifa Ghafari, «è una speranza, un desiderio». Quanto al ruolo delle donne, non ci sono segnali incoraggianti: «Noi non vogliamo restare indietro, noi sappiamo cosa è meglio per il nostro Paese, noi lo amiamo e non vogliamo retrocedere. Ma la mentalità dei taleban (che stanno negoziando con il governo, ndr) è quella di sempre: non accettano la Costituzione, la nostra forma di governo repubblicana, non accettano le nostre forze di sicurezza, non accettano un ruolo per le donne nella società, in politica, nella vita pubblica. Per questo l'accordo di pace con i taleban è come un incubo per noi: non sappiamo come finirà, ma non vogliamo arrenderci. Tutte le donne afghane vogliono la pace, ma non vogliamo pagare ancora».

Il New York Times nell'ottobre scorso di lei ha scritto: «La sindaca che aspetta di essere assassinata nel suo ufficio». Ma Zarifa Ghafari non ha paura di vivere da eroe, ogni giorno.

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