Pastora, ex giornalista, mamma moderna e inquieta
Nata nel 1979 a Norimberga, da settembre 2020 è pastora luterana a Vienna. Due figlie, ha un sito personale ed è attiva sui social
Sui social media la sua popolarità non è fragorosa, ma ci sono molti altri buoni motivi, credo, per inserire Julia Schnizlein in questa galleria di missionari digitali. A cominciare dalla biografia: nata a Norimberga nel 1979, studia teologia protestante a Heidelberg e ad Amsterdam ma, a 25 anni, si sente «troppo giovane per diventare parroco» e si dedica con passione (previa adeguata formazione) al giornalismo. Così lavora per 14 anni su varie testate austriache; frattanto si sposa e ha due figlie. Ma nel 2017, anche spinta da una difficile prova legata alla salute della secondogenita, riprende il percorso ministeriale verso il pastorato.

Nel 2019 è candidata pastora nella Lutherische Stadtkirche, a Vienna, dove dal settembre 2020 è pastora. Frattanto riorienta al ministero anche la sua seconda vocazione, quella comunicativa: lo fa attraverso un sito personale, “Juli and the Church”, in cui raccoglie sia i suoi post sia alcuni suoi sermoni; con una rubrica e un podcast sul sito della rivista luterana Chrismon (edita dalla Chiesa evangelica in Germania - EKD); con un account, omonimo al sito, su Instagram e uno personale su Facebook. La sua storia piace ai media germanofoni, che le dedicano vari articoli. Come già accennavo, non sono particolarmente significativi i numeri dei follower (7mila) e delle visualizzazioni dei suoi video, ma lo è la sua semplice motivazione a frequentare quella che chiama la «Chiesa digitale»: se le persone non vengono in chiesa per entrare in contatto con la Bibbia, dice in un’intervista del 2019 a “Kronen”, allora la Chiesa deve «andare dalla gente, anche dove la maggior parte delle persone si trova ogni giorno: su Internet». Da qualche tempo, prosegue, cerco farlo attraverso i social media: «Parlo della vita quotidiana di un vicario o di un pastore, faccio domande, cerco di attrarre i visitatori, rinvio alla mia rubrica».
In un’altra intervista, a “Die Furche”, ripresa lo scorso settembre dall’agenzia “Kathpress” (entrambi testi riservati agli abbonati), dice, prendendo la distanza da certe forme fondamentaliste di evangelizzazione online: «Per me è importante mettere in discussione le strutture di fede tossiche e difendere la religione dagli abusi e dalla radicalizzazione”. Ma auspica che l’attenzione alla predicazione digitale divenga più forte e strategica in Austria, ribadendo che «se la Chiesa non è presente dove sono le persone», cioè anche online, «perde il contatto e diventa semplicemente invisibile».
I suoi testi appaiono molto sensibili agli interrogativi e ai dibattiti di una società secolarizzata come quella europea: non a caso si riferisce alla Chiesa luterana in Austria come «Chiesa della diaspora». Pur potendo esibire un’immagine di donna moderna, un bel sorriso, i capelli sciolti sulla toga nera da pastora o sul “clergyman” (ma dovrei dire “clergywoman”…) e i jeans, non ne abusa: i suoi post, peraltro non frequenti, sono in genere fatti di cartelli con frasi, più o meno lunghe, che poi commenta. Spesso ritornano i temi del dolore, della sofferenza, della morte e i riferimenti all’esperienza della malattia della figlia. In un cartello su Instagram di un paio di mesi fa, creato dall’account della EKD “Yeet” con una citazione della pastora e da lei condiviso, si legge: «Quando nasce un bambino, tutto cambia. Insieme all'amore, anche la paura entra nel cuore». Una realtà in cui ci si può facilmente riconoscere: infatti “Yeet” commenta: «Julia ha trovato le parole più belle per descrivere l'essere genitori: tra amore e paura, lasciar andare i figli e aver fiducia che Dio li protegga». E sollecita i follower: «Vi sentite anche voi così?».
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