Qualche autore giapponese l’ho letto anch’io. Un po’ i soliti, come al solito: Kawabata, Soseki, Inoue, Mishima, Endo, più di recente Oe e Murakami. Haiku in ordine sparso, con una prevedibile preferenza per Basho. Ma il Genji Monogatari è ancora intonso sullo scaffale dietro la mia scrivania. Il signor Kenobi era al corrente delle mie lacune e spesso mi veniva in soccorso dispensando consigli e suggerendo traduzioni. Io restavo recalcitrante e lui se ne accorgeva. Con la consueta gentilezza, evitava di rimproverarmi. Non mi ha neppure mai chiesto spiegazioni, e gliene sono grato, perché neanch’io avrei saputo rispondergli. Oggi mi dico che, in fondo, la mia era una dimostrazione di affetto: facevo affidamento su di lui, mi persuadevo che la sua conoscenza del Giappone bastasse per entrambi e non sentivo il bisogno di esplorare oltre.
O forse no, forse non volevo invadere il suo territorio, oppure temevo una competizione dalla quale non sarei potuto uscire se non sconfitto. Magari è ancora più semplice, mi dico a volte. Magari sono di quelli che hanno scelto di avere ancora e sempre qualcosa da imparare, un’impresa alla quale dedicarsi quando verrà il tempo. Mi rallegra sapere che, quando per me verrà il tempo del Giappone, potrò contare sulla mite benevolenza del signor Kenobi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA


