La lettera rubata
A questo punto, qualcuno potrebbe pensare a un errore, e anche abbastanza grossolano
A questo punto, qualcuno potrebbe pensare a un errore, e anche abbastanza grossolano. Ho iniziato il mio resoconto sostenendo di aver imparato a conoscere il signor Kenobi più di quanto molte persone arrivino a conoscere sé stesse e intanto, di giorno in giorno, non faccio altro che ammettere la mia ignoranza rispetto a molti elementi della sua personalità, della sua biografia, delle sue convinzioni. Non mi sto contraddicendo? Francamente no, credo di no. Ognuno di noi è per sé un segreto esposto in evidenza, che si comincia a comprendere solo quando si ammette quanto sia inesauribile non l’esperienza della scoperta, ma piuttosto la materia da scoprire.
Siamo come la lettera rubata del racconto di Edgar Allan Poe, qualcosa che non si riesce a trovare perché si parte dal presupposto che la refurtiva sia nascosta chissà dove, mentre il ladro l’ha messa al riparo collocandolo nel posto esatto al quale sarebbe normalmente destinata. In un vassoio portalettere, visto che quella di Poe è la storia di una lettera. Ma l’esempio vale per qualsiasi oggetto, direi anche per qualsiasi soggetto. Adesso che intuisco l’esito finale, mi rendo conto che tutto era già stato mostrato e dimostrato con chiarezza. Con una chiarezza abbagliante, che mi ha obbligato a spostare altrove lo sguardo.
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