Il lavoro di una vita
Della sua attività di traduttore il signor Kenobi parlava solo per accenni
Della sua attività di traduttore il signor Kenobi parlava solo per accenni. Mi ero fatto l’idea – non del tutto inesatta, a ripensarci ora – che fosse specializzato in qualche linguaggio tecnico, particolarmente richiesto proprio in virtù della sua specificità. Questo avrebbe spiegato perché viaggiasse molto e lavorasse di rado, almeno per quanto mi risultava. Probabilmente poteva contare su ingaggi sostanziosi, oltre che su un patrimonio di famiglia a proposito del quale trapelavano notizie sporadiche e rassicuranti. Solo durante il più casuale dei nostri abboccamenti (chi avrebbe mai pensato di incontrarlo all’aeroporto di Tirana?), mi confessò di essere impegnato nella redazione di un’antologia un po’ bizzarra, nella quale avrebbe raccolto i brani in cui la letteratura ricorre allo stratagemma dell’alter ego.
Il Monsieur Teste di Valéry, il Palomar di Calvino, l’altro Borges di Borges… «Anche il Mister Hyde di Stevenson?», domandai. «Ancora non so, certi libri sono pericolosi, sa?», mi rispose. Cambiò discorso bruscamente, segnalandomi non so quale peculiarità della grammatica albanese. Fu così abile nel deviare la mia attenzione che non mi venne da chiedergli in quale lingua intendesse allestire la famosa antologia. Ancora oggi non sono sicuro che si trattasse del giapponese
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