Da lingue diverse
Per sdebitarsi, il signor Kenobi insistette per comprarmi un altro libro (in modo abbastanza prevedibile, scelsi le Lezioni americane di Italo Calvino, tra le cui pagine ancora si annida lo scontrino di quel giorno) e volle lasciarmi il suo biglietto da visita, che conservo sulla mia scrivania.

Per sdebitarsi, il signor Kenobi insistette per comprarmi un altro libro (in modo abbastanza prevedibile, scelsi le Lezioni americane di Italo Calvino, tra le cui pagine ancora si annida lo scontrino di quel giorno) e volle lasciarmi il suo biglietto da visita, che conservo sulla mia scrivania. È un cartoncino abbastanza spesso, di una tonalità ambrata e con la stampa in un rosso acceso. Un lato è occupato da caratteri in giapponese, che ho sempre preferito lasciare indecifrati. Sull’altro, sotto le generalità di Kenobi Rikyu, c’è il numero di una casella postale presso la stazione di Rotterdam Centraal.
A seguire, una qualifica che si ripete immutata in francese, inglese, tedesco, spagnolo e italiano: traducteur de différentes langues, translator from different languages, Übersetzer aus verschiedenen Sprachen, traductor de diferentes idiomas – traduttore da lingue diverse.
Nell’ingenuità dei miei ventisei anni, credevo che fosse una professione. Era, invece, una dichiarazione di poetica, un modo per misurare l’inesauribile complessità del mondo.
«Conoscere una lingua – mi avrebbe detto più tardi Kenobi – non serve per ordinare il pranzo mentre ci si trova all’estero. Serve per apprezzare meglio il suono di una parola, fosse anche un’unica parola, ascoltata un’unica volta».
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