La Croce, via d’amore tra il cielo e la terra

September 10, 2025
Esaltazione della Santa Croce In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Il mondo capovolto: per salire si deve scendere, per trovare la vita bisogna perderla. Gesù è forse venuto per compiere proprio questa rivoluzione, questa operazione sovversiva di capovolgimento, impensabile e assurda prima di Lui. Non amo la teologia del dolore e della sofferenza, non amo i volti tristi e compunti di chi accetta la propria croce quasi con un piacere masochistico, certi così di comprarsi il Paradiso, ma che fa della fede un mercimonio. Non amo la croce come simbolo di dolore e di passiva accettazione di esso. Se il cielo è sceso in terra e la terra è salita in cielo ci deve pur essere stato un passaggio, una via, una corrente: mi piace pensare allora la croce come una passerella che unisce i mondi, ma non in virtù della sofferenza che si porta incollata sopra, ma come scivolo di amore: «Dio infatti ha tanto amato il mondo…». Il fine della croce, il suo succo, è tutto in queste parole di Gesù che servono a ricordarci che c’è un solo modo per non lasciarsi schiacciare e annientare dal dolore, un modo in cui la sofferenza non ha mai l’ultima parola e non è mai definitiva. È il modo dell’amore: «perché nel tuo nome, Dio, / si può tutto, / si può nascere e morire, / e trionfare nel mondo» (Alda Merini). Solo l’amore ci rivela che nelle ombre che ci circondano Qualcuno ci attende, e non resta allora che lasciarsi sollevare la testa e farsi asciugare le lacrime, non resta che allargare i pugni chiusi e abbandonarsi. Non c’è niente da capire. La croce non ci parla di equilibrio, la croce è sbilanciata e ci indica la provvisorietà e la sospensione. E cosa è la fede se non questo essere portati, sospesi, appesi ad una fiducia, ad un abbandono? Quando ad essere in croce sei tu non servono né coraggio, né resistenza, né volontà: serve la speranza in un Dio che vuole che nessuno vada perduto, in un Dio che regala vita per sempre. Ogni volta che l’angoscia sconfigge l’amore, ogni volta che la disperazione calpesta la speranza è come ricostruire un pezzo del Golgota. Ma ogni volta che ritroviamo fiducia è l’umanità che vince: è un restituire la vita. È, in fondo, riuscire a vedere la resurrezione nascosta in quella croce. «Giaceva Egli / con la parola “reo” scolpita nelle carni, / questo grande reato d’amore / per cui veniva incriminato» (Alda Merini). E oggi Gesù sembra dirmi dall’alto della sua croce: «Ti aspetta la mia resurrezione; la vita ti aspetta». (Letture: Numeri 21,4b-9; Salmo 77; Lettera ai Filippesi 2,6-11; Giovanni 3,13-17) © riproduzione riservata

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