Regole condivise per la casa comune?
Non passa giorno senza che la discussione pubblica, nei limiti in cui le preoccupazioni sulla sorte dell’umanità ce lo consentono, sia interessata da un tema che un tempo sarebbe stato circoscritto tra pochi addetti ai lavori e che invece oggi sta acquisendo spazio nella coscienza collettiva: è giusto o non è giusto che le regole fondamentali di un Paese, e in particolare le regole costituzionali, siano modificate da iniziative della maggioranza di governo, senza un vero confronto con le opposizioni e talvolta anche con la maggioranza stessa? Un tale atteggiamento costituisce l’anticamera di una torsione illiberale della democrazia o, per contro, va considerato un segno di vitalità della stessa? Nei giorni scorsi, due eventi, assai diversi tra loro, hanno posto lo stesso problema. Presentando al Senato il volume promosso dall’Associazione “Vittorio Bachelet”, dal titolo L’Alta Corte disciplinare. Pro e contro di una riforma che fa discutere (curato da me e dal consigliere di Cassazione Gianluca Grasso), in più di un intervento sono state rimarcate la peculiarità e la pericolosità di un percorso di modifica del modello costituzionale di magistratura e di Csm che non tenga in considerazione le argomentazioni e i suggerimenti volti a emendarne le contraddizioni tra gli obiettivi individuati e gli strumenti impiegati per raggiungerli, oltre che le incongruenze, in qualche punto anche vistose, sotto il profilo tecnico-giuridico. Qualche giorno prima, a Madrid, il tema è stato evocato nel documento conclusivo del periodico incontro trilaterale tra le associazioni dei costituzionalisti francesi, italiani e spagnoli – al quale hanno partecipato, per il nostro Paese, le professoresse Lucia Scaffardi e Laura Buffoni, oltre a chi scrive –, dedicato quest’anno al ruolo di tali associazioni nei confronti degli attacchi ai valori dello Stato di diritto democratico-costituzionale (si è altresì deliberato l’allargamento di tali incontri all’associazione dei costituzionalisti portoghesi, nella direzione della costruzione graduale di una associazione europea). Dopo avere sottolineato che l’erosione di tali valori è motivo di preoccupazione per le nostre associazioni, il documento afferma la necessità di garantire il rispetto del pluralismo e di rafforzare il dialogo tra gli attori politici, in modo da cercare di raggiungere accordi più ampi quando si vogliono modificare norme costituzionali, cioè le regole della casa comune. Di questo, infatti, si tratta: regole destinate a durare nel tempo e a inquadrare la vita di un Paese richiedono l’apporto di più sensibilità, un adeguato esame dei presupposti di partenza, la considerazione ben ponderata degli istituti e degli strumenti che si vogliono introdurre e della loro reale idoneità a risolvere le disfunzioni lamentate. Quando ciò non accade, gli inconvenienti finiscono prima o poi per presentare il conto, anche a distanza di anni. Pensiamo, da noi, alla riforma regionale del 2001, adottata a stretta maggioranza, su un testo le cui linee di fondo erano state, peraltro, condivise con l’opposizione qualche anno prima: la frettolosità di elaborazione e l’infelice stesura di molte disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001 ancora oggi creano problemi rilevanti nella vita pubblica. Non si tratta di tecnicismi e men che mai di cavilli per costituzionalisti, ma di preoccupazioni facilmente percepibili nella coscienza civile: le regole della casa comune non devono essere regole divisive. © riproduzione riservata
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