Il tema era da brivido. Tante le prospettive di approccio, tante le ipotesi nel tempo formulate, con sullo sfondo la risalente domanda delle domande: che cosa può dire il diritto, e in particolare il diritto costituzionale, sulla guerra e sulla pace in un momento in cui, per esprimerci con il penultimo dossier della rivista Esprit (già richiamata in questa rubrica, lo scorso 30 maggio), siamo nel tempo della “force contre le droit”, la forza contro il diritto? L’Associazione italiana dei costituzionalisti, riunita la scorsa settimana a convegno sul tema “La pace e la guerra nella Costituzione” (tema scelto lo scorso novembre dall’Assemblea dei soci), ha cercato sia di evitare di appiattire il diritto sulla bruta realtà, sia di prescindere da quest’ultima rifugiandosi nelle costruzioni ideali. Lo ha fatto muovendo dal presupposto, dichiarato già nell’introduzione svolta da chi scrive, che, se è vero che il processo storico dipende dalla natura umana, non è scientificamente dimostrabile che gli uomini siano buoni o cattivi. Nella storia delle idee, alla linea Eraclito-Platone-Hobbes (e per questo autore con necessità di distinguerne i profili descrittivi rispetto a quelli precettivi) -Schmitt-Foucault, e oggi Sadun, si contrappone la linea Aristotele-Agostino-Tommaso d’Aquino-Lévinas-Cotta (quest’ultimo, meno citato, è straordinariamente interessante, perché contrappone all’eracliteo “in principio è la guerra” il giovanneo “in principio è il logos”, e dunque il dia-logos, la relazione). Su questa base, i numerosi interventi di costituzionalisti, ma anche di giuristi di discipline diverse (per limitarsi alle relazioni: L. Chieffi, M, Cavino, A. Vedaschi, A. Bultrini, M. Valensise, B. Pezzini, C. De Fiores, B. Nascimbene e D. Cabras), hanno provato a illuminare gli erramenti della geopolitica con la lampada della Costituzione, soprattutto attraverso l’intreccio tra gli artt. 11 e 78: compito non facile, certo, ma indispensabile, a meno che non ci si voglia arrendere al reale nei suoi aspetti più distruttivi se non autodistruttivi. Mai come su questi argomenti, che attengono ai profili più delicati dell’esperienza umana, le parole che usiamo vanno soppesate con attenzione, a partire proprio da pace e guerra. Al pari di altre coppie terminologiche, pace e guerra non si accontentano del principio di non-contraddizione. Come, ad esempio, la salute non è soltanto assenza di malattia, così “pace” non è soltanto assenza di guerra, ma ha a che fare con la giustizia, con una condizione di stabilità e armonia, che tiene insieme la pace esteriore con quella interiore. Anche la parola “guerra” è suscettibile di un duplice significato, come contesa esteriore e come sforzo interiore. Su pace e guerra, le Costituzioni (e la nostra in particolare!) hanno molto da dire: esse nascono da una lotta e tendono alla pace, sono strumenti di pace o almeno di lotta non violenta. L’apparente saggezza del “parabellum” (peraltro riferita a contesti bellici imparagonabilmente meno distruttivi), da più parti richiamata in questi giorni, mistifica e nasconde la realtà delle cose, che è impietosa: pensando così e operando di conseguenza, i conflitti sono aumentati e dunque crescono le divisioni tra popoli, gruppi, generazioni attuali e future. In conclusione, forse andrebbe sottolineato di più, in linea con l’insegnamento dei Papi, che la pace senza giustizia è un intermezzo effimero, e che la giustizia senza pace è soltanto l’ingiustizia del forte che si fa beffe, con arroganza, della debolezza del giusto.
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