I francesi scendono in strada Crisi politica o crisi costituzionale?
Giustzia e democrazia
Gli avvenimenti internazionali degli ultimi giorni rinfocolano le preoccupazioni per l’espansionismo russo (la Polonia che invoca l’art. 4 del Trattato Nato) e per la continua recrudescenza della situazione medio-orientale, mentre, sul piano interno, gli ulteriori sviluppi del caso Almasri pongono il delicatissimo problema della verità delle comunicazioni e dei messaggi che i titolari di incarichi politici e istituzionali indirizzano all’opinione pubblica e agli organi costituzionali. In questa ripresa settembrina della nostra piccola rubrica, ci occuperemo di una situazione che sta interessandoci proprio in queste ore, la crisi francese, nella quale si stanno intrecciando crisi di governo, crisi economica e ritorno dei tafferugli e delle violenze nelle strade, con il rischio di indebolire fortemente la complessiva causa europea. Le letture, quelle d’Oltralpe e quelle di casa nostra, si riconducono a due filoni prevalenti, il primo che pone l’accento sulla crisi del ceto politico (incapace di fare coalizione e incline a privilegiare il profilo distruttivo rispetto a quello costruttivo e responsabile), il secondo sulla crisi della democrazia e delle sue promesse (il cui risvolto, eclatante e perturbante, è costituito dall’ormai periodico scendere in strada). Letture che colgono singoli aspetti, ma dimenticano il dato di fondo della situazione francese, quello che spiega in larga parte lo scollamento tra la rue e le pouvoir (da noi si direbbe tra il potere e la piazza, con significativo scostamento linguistico), come dimostrato prima dal movimento dei gilets jaunes, poi dallo scontro sulle pensioni e, oggi, dalle proteste all’insegna del bloquons tout: la Francia della Va Repubblica ha una forma di governo caratterizzata, soprattutto a partire dal 1962, da un netto sbilanciamento a favore di un unico centro di potere, l’Eliseo (in proposito, Leopoldo Elia parlò, anni fa, di forma di governo squilibrata, in senso tecnico). In presenza di una crescente conflittualità tra le formazioni politiche e di una distribuzione dei consensi che assegna al primo turno al presidente poi eletto al ballottaggio un sostegno da parte di una porzione limitata di elettori, la conseguenza è l’indebolimento della figura presidenziale e la creazione o l’incentivazione di quello scollamento tra
rue e
pouvoir. Né il massiccio ricorso agli strumenti del c.d. parlamentarismo iper-razionalizzato ha migliorato la situazione, piuttosto l’ha complicata. Senza un cambiamento di cultura politica che conduca ad attenuare quello squilibrio, privilegiando i profili di parlamentarismo su quelli presidenzialistici, la fiducia tra cittadini e istituzioni non avanzerà (forse si può leggere anche così la distinzione di François Bayrou, nel suo discorso di lunedì, tra il punto di vista “politico” e quello “storico”). Le vicende francesi parlano anche a noi? Sì. Noi abbiamo una forma di governo equilibrata che faremmo bene a tenerci cara. Quando decampiamo da essa (l’esperienza dei presidenti di regione insegna…), ci troviamo a mal partito: un uomo o una donna sola al comando non vanno bene mai, neppure su una nave, e meno che mai sulla nave, così articolata e delicata, delle istituzioni. Esse hanno bisogno di pesi e contrappesi, di bilanciamento tra assemblee legislative, governi e magistrature, che assicurino ai cittadini un qualche rispecchiamento e collegamento con i luoghi del potere. Altrimenti, resta soltanto la strada, non nel senso dell’agorà, ma della rue.
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