Giustizia veloce o giustizia rapida? In realtà non è sempre la stessa cosa

April 30, 2025
Nei mesi scorsi, si è avviata un’interessante discussione sulla differenza tra velocità e rapidità, distinguendo tra la velocità fisica, misurabile e crescente (il treno corre, come un tempo il cavallo correva), e la velocità per dir così mentale, la rapidità appunto, caratterizzata da un coinvolgimento immediato e travolgente, capace tuttavia di lasciare spazio, se del caso, alla lentezza e alla ponderazione. Tale discussione, promossa lo scorso gennaio da un articolo di padre Antonio Spadaro su questo giornale (sulla base anche di una delle più note Lezioni americane di Italo Calvino, quella appunto sulla “rapidità”), è stata intelligentemente ripresa, tra l’altro, in un articolo su “L’Osservatore Romano” di qualche settimana fa. La suggestione della rapidità, che il gesuita suggeriva come orizzonte attuale di riferimento della teologia, viene applicata dal giurista Giovanni Maria Flick proprio alla giustizia umana, un campo nel quale alla diffusa e comprensibilmente pressante richiesta di superare le lentezze (giustizia tardiva è giustizia negata) si accompagna l’altrettanto evidente necessità di ponderazione e di equilibrio. E sovente la sola velocità non è in grado di bilanciare tutti i valori e gli interessi, di ordine costituzionale ed etico, che confluiscono nel momento giudiziario, e che hanno a che fare con il senso di umanità che ogni processo, civile penale o amministrativo, deve rispecchiare. Per contro, una giustizia “rapida” tiene insieme le due esigenze, il rispetto della tempistica e l’attenzione alla qualità del procedimento e del risultato processuale. Mi sembra un approccio assai fecondo, anche in altri campi. Pensiamo alla giornata di oggi, a questo nostro 1° maggio: tutti constatiamo i veloci cambiamenti del lavoro e della sua organizzazione, ma altresì confidiamo che non venga meno il significato del lavoro come fondamento della Repubblica, quale baluardo contro gli eccessi tecnocratici e i riduzionismi economicistici (e dunque vorremmo promuovere più rapidità, intesa come comprensione sintetica del nuovo e come slancio verso il futuro). Ma pensiamo anche ai compiti della politica: ciascuno di noi non coltiva forse il desiderio che essa sia capace di rapidità, piuttosto che di velocità, cioè che miri alla qualità profonda delle sue decisioni e alla loro idoneità a risolvere questioni complesse, in luogo di enfatizzare l’effetto annuncio e soltanto mediatico o consolatorio? Per stare a una discussione italiana di queste settimane, il così giustamente criticato decreto-legge sicurezza appare prigioniero del profilo della velocità, intesa come aumento inarrestabile di fattispecie di reato e come affastellamento di situazioni critiche cui offrire una risposta a ogni costo: anche a costo, purtroppo, di sacrificare plurimi beni costituzionali, dal principio di legalità e determinatezza dell’illecito penale al principio di eguaglianza, che impone di tenere in considerazione le differenti condizioni personali e sociali e di differenziare le condotte a seconda del contesto in cui sono poste in essere. Non sarebbe meglio, in questa materia, farsi piuttosto ispirare dal valore della rapidità, costruendo una politica penale che abbia uno sguardo diverso e, alla fine, produttivo di sicurezza vera? Infine, sconfinando in un territorio di non mia stretta competenza, un desiderio per il prossimo Conclave. Che esso sia, più che veloce, rapido: capace, dunque, di confermare e gridare al mondo la radicalità travolgente del Vangelo, come ha saputo fare papa Francesco. © riproduzione riservata

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