Dialogo ed equilibrio tra i poteri: perché Giovanni Gronchi ci parla ancora

Il convegno al Csm alla presenza del Capo dello Stato e l'insegnamento di una generazione autorevole che dobbiamo saper ascoltare
November 7, 2025
Dialogo ed equilibrio tra i poteri: perché Giovanni Gronchi ci parla ancora
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il convegno "Giovanni Gronchi tra politica e istituzioni"nella sede del Csm a Roma /Ansa
Ieri si è svolto, nella gremita Sala delle conferenze del Consiglio superiore della magistratura, il convegno su “Giovanni Gronchi tra politica e istituzioni”, promosso dall’Associazione Vittorio Bachelet nel 70° dell’elezione presidenziale di Gronchi. Il Convegno, impreziosito dalla presenza del Capo dello Stato, ha costituito l’occasione per fare il punto su una presidenza cruciale per il consolidamento democratico-costituzionale del Paese e per saggiare, sotto il profilo storico, la plausibilità del giudizio circa l’eccessivo interventismo dello statista di Pontedera nella vita politica e istituzionale, compresa la politica estera. Le relazioni e gli interventi (Fabio Pinelli, Margherita Cassano, Agostino Giovagnoli, Daniela Piana, Sandro De Nardi, Giorgio Grasso, Giovanni Tarli Barbieri, Antonmichele de Tura, Giulio Santini, Pasquale D’Ascola e chi scrive) hanno permesso di gettare uno sguardo nuovo e più comprensivo sulla presidenza Gronchi. Che cosa c’entra Gronchi con i contenuti della nostra rubrica, e dunque con la giustizia e la democrazia?
La mattinata al Csm ha dimostrato che parlarne non è una divagazione rispetto all’oggi, almeno sotto tre profili. Il primo profilo concerne la convinzione di Gronchi che, da un lato, non si danno istituzioni repubblicane efficienti se non si soddisfano due condizioni: un dialogo vero tra i poteri e tra le forze politiche, e una qualità culturale adeguata degli attori istituzionali. Quanto queste condizioni sono presenti oggi e come possiamo concorrere perché lo siano in misura adeguata? La domanda non è soltanto lecita, ma doverosa, in presenza di proposte di revisione costituzionale che partono non condivise e che rimangono tali sino alla fine.
Il secondo profilo concerne il significato attribuito da Gronchi ai due principali organi di garanzia alla cui entrata in funzione egli concorse in modo determinante: la Corte costituzionale, organo di garanzia della supremazia della Costituzione; il Consiglio superiore della magistratura, organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Essi sono indispensabili per assicurare un reale equilibrio costituzionale, che permetta alla politica di affermarsi negli spazi ad essa proprî, ma di non essere o apparire legibus soluta e irriguardosa rispetto ai vincoli costituzionali e normativi, i quali non sono e non possono essere percepiti come un laccio forzato, ma costituiscono il presupposto per convivere senza vulnerare i più deboli e senza rassegnarci all’eventuale tracotanza del potere.
Il terzo profilo attiene al rapporto tra il giudice e la legge. Più voci hanno rammentato la convinzione di Gronchi: il giudice deve non soltanto interpretare le disposizioni di legge, ma adattarle alle cangianti situazioni sociali alla stregua dei principi e delle norme costituzionali (oggi diremmo interpretazione costituzionalmente orientata), fermi restando il divieto di sostituirsi al legislatore e il dovere di quest’ultimo di provvedere e di non restare inerte. Ricordare questi essenziali ammonimenti significa trarre insegnamento da una generazione autorevole e permettere che essa ci parli ancora: per poterla davvero ascoltare, i comportamenti e le idee di allora vanno inseriti dentro il contesto di quell’epoca necessariamente diversa e allora, senza proiettare su di essa le nostre sensibilità di oggi, potremo percepirne i limiti e, insieme, le tante opportunità.

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