Il gesto più intimo e sacro, in questo lunedì mattina

Scriviamo il nostro nome, è atto di consapevolezza e di spogliazione, di consegna. E mentre lo tracciamo, ecco manifestarsi una mappa di ciò che siamo stati nel tempo
November 3, 2025
Il gesto più intimo e sacro, in questo lunedì mattina
Luce del sole tra i rami d'autunno
“Paolo, schiavo di Cristo”. Inizia così la lettera ai Romani di San Paolo, ed è una frase vertiginosa. Perché inizia con un nome, con il nome di chi scrive. E mentre leggo, mentre prego, mi sento abilitato anche io a dire il mio di nome: Alessandro. Lo pronuncio lentamente, sottovoce, non è solo un suono caro, è tutto ciò che sono, è la mia storia. Nel nome si prolunga la scelta di altri due nomi, Giovanna e Francesco, i miei genitori, che un giorno innamorato hanno deciso di me, io sono il loro sogno, sono il segno del loro amore, sono il Mistero della vita che eccede le vite di chi si ama. Che eccede anche dal confine della morte
Paolo ci abilita a scrivere il nostro nome, proprio il nostro, atto di consapevolezza e di spogliazione, di consegna, e mentre lo tracciamo, lettera per lettera, ecco manifestarsi una mappa di ciò che siamo stati nel tempo, ecco emergere le bellezze e gli errori che quel nome ha vissuto, ecco gli entusiasmi e i peccati, ecco le tante identità che lo stesso nome ha abitato, e mentre la penna rallenta nella curvatura di una lettera ecco apparire i volti delle persone che mi hanno accompagnato fin qui, tanti sono morti. Li sento vivi. Nel mio nome. Scrivere il proprio nome sotto lo sguardo misericordioso del Padre, in questa piccola chiesa illuminata da una candela e densa d’incenso, profumata dall’Eucarestia, mi sembra il gesto più intimo e sacro che questa mattina posso fare. Accanto al nome, Paolo, aggiunge subito ciò che sente essere la sua essenza più intima, è un pugno alla nostra sensibilità contemporanea: schiavo. Paolo si definisce schiavo. Non voglio depotenziare il trauma, lascio a questa parola di deflagrare in me, di provocarmi nel profondo. “Schiavo” è parola abissale, voragine che si apre, apparente contraddizione alle tante lotte per la libertà. Solo la fede può arrivare a reggere questa provocazione. O l’amore. Schiavo è sentirsi crocifisso a Cristo, sentire che non si è niente senza lui, sentire che non puoi più fare a meno del Figlio dell’Uomo, che senza di lui resterebbe solo la morte. Schiavo è perdersi completamente. Ma schiavo è quindi anche liberarsi, liberarsi finalmente di me, che sono spesso tiranno a me stesso. Di me, del mio egoismo, che mi impedisce di sentirmi amato, che mi impedisce di lasciarmi andare, di ridere delle mie piccolezze.
È come una piccola illuminazione. Eccola la libertà, credevo di averla persa e ora la ritrovo, maestosa e bellissima, ero schiavo di me stesso e non me ne accorgevo nemmeno più, ero in balia dei miei deliri e non me ne rendevo conto. Alessandro, come Paolo, come te che leggi, vivo per essere il più possibile schiavo dell’Amore, in questa follia vitale che si chiama fede, dove occorre perdersi per ritrovarsi, morire per risorgere, liberarsi da se stessi per lasciare finalmente solo l’Amore a danzare tra le nostre carni. “E non vivo più io ma Cristo vive in me” (Galati, 2,20). Esco, un sole d’autunno non scalda ma illumina, tutto danza la Sua presenza, non mi sono mai sentito tanto libero. Proprio io.

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