Una semplice pasta aglio, olio e peperoncino
T., ex detenuto che per amore della figlia ha cambiato rotta studiando in carcere, tra lavoro e preghiera trova nel vostro sguardo non giudicante, semplice e ardente come una pasta aglio, olio e peperoncino, la forza di ricominciare e una seconda possibilità.

Disarmante la semplicità con cui T. per la prima volta ci ha contatto al telefono, come la pasta aglio, olio e peperoncino di cui in tarda adolescenza viene voglia in una sera d’estate, capace di trasformare in festa il solo stare insieme, per il piacere di stare insieme. Quando T. ci ha chiamato la prima volta, ha semplicemente chiesto di essere ospitato un week-end, come tanti fanno per trascorrere qualche giorno in preghiera. La mattina dopo arriva presto in coro, per la prima preghiera delle 5.30, si fa aiutare a mettere i segni al salterio, con molto rispetto, e cosi ha fatto per tutte le ore liturgiche; l’ultimo giorno, prima di andare via, ci chiede di poter ritornare in futuro per aiutarci con il lavoro in orto, lui che dalle mani e dalla laboriosa abbronzatura di orto di sicuro ne sapeva qualcosa.
E cosi fa, a fine primavera, torna. Sembra esser diventato subito familiare, lavora e prega, una sera ci chiede di poterci raccontare la sua storia, e cosi come un fiume in piena inizia con un inconfondibile accento pugliese, qualche errore di “grammatica” rende il tutto ancora più familiare, il peso del suo racconto si fa sentire senza appesantire l’aria, paradossalmente rendendola vivace come un peperoncino. T. ha smesso presto di andare a scuola, in casa bisognava darsi da fare, e molto presto trova un modo “facile” per racimolare i soldi per se e la famiglia, passano gli anni dentro e fuori dal carcere, per “piccoli” reati. Nel tempo nasce anche figlia, oggi una bellissima ragazza che studia per poter fare la psicoterapeuta proprio nelle carceri. Per molti anni glie era stato impedito di conoscerla e vederla, ed è per amore di lei che cambia qualcosa dentro, e di conseguenza anche fuori di T. Sceglie di studiare e diplomarsi in carcere, impara molti lavori, torna a risentire la sua famiglia, quando può parla spesso con il cappellano, trascorrono gli anni e T. sconta la sua pena definitivamente e esce.
Nell’uscire c’è tutto da ricostruire, ma T. con quel fuoco di vita che gli brucia dentro, proprio come quel pizzico di peperoncino che fa la differenza, non demorde, anzi, riallaccia i rapporti con sua mamma, con la quale vive e sua figlia che siamo riuscite a conoscere in videochiamata, è stato difficile trovare un lavoro onesto, ci racconta con gli occhi pieni di lacrime e il sorriso denso di chi ha detto tanto ma avrebbe potuto dire molto di più, perché se hai la “fedina penale sporca nessuno ti vuole, nessuno ti da fiducia, voi invece appena sono venuto non mi avete giudicato e questo mi ha fatto sentire un altro”.
T. ci ha fatto assaporare la semplicità e la schiettezza di chi non ha nulla da perdere, di chi consapevolmente sa che ha sbagliato e che non è la somma dei suoi errori. T. ci chiama spesso e una settimana delle sue ferie in estate viene a trascorrerla con noi, dedicando il suo tempo, un modo per dire “grazie” alla vita che gli ha dato una seconda possibilità. Ci ha raccontato la storia dei suoi tatuaggi, di qualche cicatrice, di quello che avrebbe voluto e non ha potuto, e di quello invece in cui è riuscito, sa a chi deve dire grazie a chi chiedere perdono, e sa che nella sua vita il Padre lo aspettava come nella parabola lucana, che spesso ha letto dietro le sbarre. T. come una gustosa e amichevole pasta aglio, olio e peperoncino, con pochi ingredienti ha riconosciuto la bellezza e la fatica del ripartire, dell’errore e del perdono.
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