Una rumorosa tavola imbandita
Sedersi a mangiare in compagnia e vedere il bene che si moltiplica. È l'esperienza delle suore benedettine di Bastia Umbra con le persone che vivono un tempo di malattia

Quando siamo state contattate tramite e-mail dal dott. M., siamo rimaste davvero spiazzate: quanto ci ha scritto ci ha sorpreso così tanto che non potevamo credere fosse vero. Solo dopo aver visto le foto e i video, abbiamo constatato che il bene donato è molto più creativo di quanto si possa credere e aspettare.
Un intero programma laboratoriale di terapia pomeridiana per persone affette da Alzehimer, basato sul cucinare insieme. Si scopre che ciascuno ha un proprio compito specifico, una competenza da condividere, un modo di stare insieme creativo ed efficace. E poi non solo: la cucina diventa metafora di un mondo affettivo ed emotivo che spesso chi ha la malattia di Alzehimer perde molto rapidamente, lasciando un “vuoto” che si legge negli occhi; memoria emotiva che viene recuperata da gesti, sorrisi, parole, attenzioni che mai avremmo immaginato potessero arrivare così lontano e in maniera cosi “terapeutica”.
Quando ci hanno visto di persona per la prima volta, si ricordavano perfettamente di noi, come se avessimo bevuto insieme un caldo tè con dei biscottini il giorno prima. Sembrava quasi abitudinaria la nostra presenza, eppure non ci eravamo mai incontrati prima di persona. Loro da un po' ci guardavano in televisione (la Comunità benedettina di Sant'Anna è protagonista del programma tv "La cucina delle monache", su Foodnetwork, canale 33, ndr) e ci commentavano seduti sul divano. Tanti poi sono stati gli sguardi, i gesti, le storie che abbiamo incontrato di persona, invitate dal dott. M. e da tutti i suoi collaboratori medici, infermiere e altro personale che ogni giorno si dedicano alla cura; una giornata trascorsa insieme, nella condivisione delle diverse modalità di cura e di terapia, diversi approcci teorici, che si fanno prassi, che prendono vita e corpo nelle persone che alla realizzazione di esse si dedicano ogni giorno, con professionalità e dedizione. È una cura dell’umano che non ha solo il farmaco come unico punto di riferimento.
Non ho un piatto specifico per raccontare tutto questo, ma ho in mente un’immagine semplice e festosa, calda, come quelle lunghe e rumorose tavolate tra amici, come quando si sta tutti insieme a preparare la cena di Natale, come quando il più piccolo passa il vino al più anziano, con la curiosità di chi guarda con occhio furbo e attento cosa dicono i grandi, di cosa parlano, sapendo che alla fine è a partire dalla semplicità dei bambini che riscopriamo chi vogliamo essere da grandi. Non sappiamo quanto un nostro gesto, azione, parola di bene possa avere effetto, quanto lontano o vicino possa arrivare, “tanto” o “poco” che sia, non importa. Credo che da questa tavola imbandita si possa imparare che il bene donato spesso è un’eccedenza virtuosa di cui non conosciamo i confini o i luoghi e i tempi, ed è forse proprio qui la sua forza: in questa capacità dell’Oltre che non ha bisogno di memoria.
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