Un asse Roma-Berlino, ma stavolta per la pace
Il Capo dello Stato davanti al Bundestag nel Giorno del lutto nazionale rilancia il ruolo dei Paesi fondatori della Ue nel solco dello "spirito di Helsinki"

Un asse Roma-Berlino, ma per la pace. Sergio Mattarella sceglie la Germania di Konrad Adenauer e del suo omologo presidente Frank-Walter Steinmeier - forse l’amico più consolidato sulla scena internazionale - per rilanciare la sua visione multilaterale che tiene insieme, come dei cerchi concentrici, l’Onu, ossia l’intera comunità internazionale; la Corte penale internazionale, con i suoi 125 Paesi aderenti; l’Osce, che ne conta 57; il Consiglio d’Europa, con 46 membri; la Nato, a 32 (più 15 associati) e la Ue, oggi a 27. Ma al fondo c’è una responsabilità ancora più ristretta in capo ai Paesi fondatori, che non possono cadere anche loro in una sorta di multilateralismo “à la carte” che accetta solo gli organismi sovranazionali funzionali, fintanto che lo sono, ai propri disegni nazionali o di parte. Quando parla di «nuovi dottor Stranamore» che «si affacciano all’orizzonte», denunciando che «si odono dichiarazioni di Paesi su possibili ripensamenti del rifiuto dell’arma nucleare», Mattarella denuncia i rischi sottesi all’arretramento che si registra nel processo di non proliferazione, in particolare ricorda «il Trattato del 1997 che mette al bando gli esperimenti nucleari», che «non ha visto ancora la ratifica da parte di Cina, India, Pakistan, Corea del Nord, Israele, Iran, Egitto, Stati Uniti, mentre la Russia ha ritirato la sua nel 2023».
In tal modo Mattarella - con il ruolo che gli conferisce la Costituzione di garante dei Trattati internazionali - mantiene l’Italia nel solco di Alcide De Gasperi, Aldo Moro ed Enrico Mattei, principali ispiratori nel dopoguerra della politica estera dell’Italia, alleata leale degli Stati Uniti, ma dentro uno spirito di concordia fra le nazioni che, ricorda Mattarella, può essere garantito solo «dalla cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali». Questo rese possibile il cosiddetto “spirito di Helsinki”, spesso evocato dal nostro capo dello Stato, che fa riferimento a una pietra miliare della diplomazia di pace (di cui di recente si sono celebrati i 50 anni) portatore di impensabili risultati negli anni successivi nel processo di distensione. Due anni prima, nel 1973, era stato celebrato l’anno dell’Europa e il segretario di Stato americano Henry Kissinger mostrò una certa insofferenza quando il ministro degli Esteri Moro chiese tempo perché l’allora Comunità europea potesse aderire come tale e non come singoli stati, alla spicciolata. Fu questo atto a collocare l’Europa per la prima volta fra le Grandi potenze, affrancandola dal ruolo di alleanza “regionale” in cui gli Usa avrebbero preferito tenerla come alleata. Se Helsinki, due anni dopo, potè aprire uno squarcio nella cortina di ferro fra Russia e Stati Uniti, fu proprio grazie a questo salto di qualità, avvenuto con l’Italia presidente di turno, salto di qualità che Moro fu in grado di valorizzare essendo diventato nel frattempo presidente del Consiglio. La lezione andrebbe mandata a memoria. E le frizioni che si registrano in queste ore fra Salvini e Crosetto sono forse proprio la spia di un Governo che, superando più di qualche resistenza, ha scelto ancora una volta la Ue, deludendo l’arretramento neo-nazionalista propugnato da Orban.
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