Nordio: «Con la riforma i magistrati saranno più liberi»

Il ministro della Giustizia ad Avvenire: il voto referendario sarà nella prima metà di marzo, l'Anm accetti il confronto in tv. E sul carcere non c'è una stretta alle attività culturali
November 23, 2025
Nordio: «Con la riforma i magistrati saranno più liberi»
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio / Ansa
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio non sembra uomo da cambiare idea nell’espace d’un matin. E alla domanda-tormentone rivoltagli da settimane sulla possibilità di un confronto in tv coi sostenitori del No al referendum sulla riforma costituzionale per la separazione assoluta delle carriere (che si terrà, prevede, «nella prima metà di marzo»), risponde ancora una volta allo stesso modo: «Vorrei fare un incontro coi vertici dell’Anm. Dopodiché non mi sottrarrò ad alcun tipo di confronto, ma la priorità la do all’Anm, sempre che accetti. La situazione determinatasi mi ha sorpreso, perché col presidente dell’Anm Cesare Parodi avevamo già concordato la data del confronto, da farsi nella trasmissione di Bruno Vespa. La ragione del rifiuto consisterebbe nel desiderio dell’Anm, per quanto ho potuto capire, di non conferire al confronto un significato politico. Ciò però significa che esponenti della magistratura associata non si confronteranno più con nessun esponente di partito. Mi sembra strano, spero che cambino idea».
E il professor Enrico Grosso, presidente del Comitato per il No? Non lo ritiene un interlocutore adeguato?
Certo, ci mancherebbe. Ma prima preferisco avere un rifiuto chiaro e definitivo dall’Anm, che ha promosso il Comitato.
L’Anm teme che, col nuovo sistema, l’azione penale esercitata dal pm finisca sotto “l’ombrello” del Governo. Lei la liquida come una fantasticheria. Perché?
Per varie ragioni. La prima è che nella riforma è scolpito, nella nuova versione dell’articolo 104 della Carta, il principio dell’autonomia e indipendenza dei magistrati requirenti e giudicanti. La seconda che ritengo quantomeno improprio fare un processo alle intenzioni. La terza che, secondo la logica aristotelica, non posso dare la prova negativa di un evento futuro. E mi stupisco che dei magistrati, che la logica dovrebbero conoscerla, si affidino a un tale espediente retorico.
Tuttavia, la magistratura associata è convinta che l’impianto della riforma finirà per indebolire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Preoccupazioni fondate?
No, sarà esattamente il contrario. Oggi i magistrati sono - e lo saranno in futuro – indipendenti dal potere politico. Ma sono dipendentissimi dal potere delle correnti, che attraverso il Csm decidono del loro destino. Perciò, il sorteggio è temuto dai vertici dell’Anm anche più della separazione delle carriere: perché toglierà alle correnti quell’enorme potere. E i magistrati saranno finalmente più liberi.
Secondo l’Anm, il sorteggio è “punitivo”, perché impedirà alla magistratura di votare i propri rappresentanti con criteri (candidature, liste) stabilite per tutte le altre categorie professionali.
Io ritengo che ridurrà di molto quella degenerazione correntizia emersa con o scandalo Palamara e denunciata dalle più alte cariche dello Stato con parole severe. Peraltro molti magistrati, pur contrari alla separazione delle carriere a cominciare dal procuratore di Napoli Nicola Gratteri, al sorteggio si sono dichiarati favorevoli. Proprio perché romperà quel vincolo tra elettori ed eletti che si traduce, nel Csm, in un mercanteggiamento di cariche e in una giurisdizione disciplinare domestica.
L’iter della riforma in Parlamento è stato “unilaterale”. Se il Governo avesse recepito alcune proposte delle opposizioni, non si sarebbe potuto raggiungere il quorum dei due terzi, evitando di spaccare il Paese?
Con l’Anm il dialogo non è stato possibile sin dall’inizio, perché è pregiudizialmente contraria all’intera riforma e ha subito reagito con uno sciopero. Altrettanto si dica in Parlamento. I due terzi non si sarebbero mai raggiunti, se non snaturando completamente la riforma, per la quale abbiamo avuto un chiaro mandato elettorale.
Gran parte dell’opposizione è per il No. Il Pd, con la deputata Serracchiani, le rimprovera che la riforma non affronta i veri problemi: processi lunghi, carenza di magistrati e di personale amministrativo, stabilizzazioni dei precari. Cosa ribatte?
A parte che il Pd, e la stessa Serracchiani, si sono a suo tempo dichiarati favorevoli alla separazione delle carriere, l’obiezione la chiamo “benaltrismo”, un trucchetto logico per eludere un problema. La riforma renderà la Giustizia più giusta e più liberale. Affinché diventi più efficiente abbiamo approvato, e approveremo, altre norme: in linea generale attraverso l’attuazione del Pnrr, sul quale il ministero è in perfetto orario; poi con la digitalizzazione del sistema giudiziario, compresa l’inclusione della banca dati delle decisioni civili, gratuita e accessibile. Puntiamo sul potenziamento delle risorse: entro il 2026 e per la prima volta da 80 anni, colmeremo gli organici dei magistrati, oltre all’assunzione di 11.500 amministrativi. Alcuni risultati già si vedono: la durata media dei processi civili si è già ridotta del 20%, quella dei penali del 28 %. Di questo dobbiamo ringraziare anche i magistrati, che hanno lavorato molto e molto bene. E ci tengo a dire che, al di là delle divergenze di vedute sulla riforma costituzionale, il rapporto con Anm e Csm è costante: abbiamo avuto incontri su questioni organizzative e siamo pronti ad accogliere i loro contributi.
Il vicepremier Tajani ritiene che il referendum non dev’essere un sondaggio pro o contro il Governo. Ma non sarà inevitabile?
La penso come l’amico Tajani: sarebbe improprio trasformarlo in un duello del genere. Soprattutto per la magistratura perché, se si schierasse con la politica, perderebbe la residua parte di quella idea di terzietà, purtroppo già abbastanza affievolita.
Faccia pure gli scongiuri, se ritiene: i sondaggi danno il Sì in vantaggio.
I sondaggi vanno presi con beneficio d’inventario, soprattutto se favorevoli. Ma noi pensiamo di vincere: confidiamo nel buon senso degli italiani, che desiderano una Giustizia più efficiente e giusta e che, se un magistrato sbaglia gravemente, venga giudicato da una Corte disciplinare non ipotecata dalle correnti, cioè dai partitini di cui è composta l’Anm.
Dopo il referendum, procederete con altre riforme sulle intercettazioni, la custodia cautelare e l’iscrizione nel registro degli indagati?
Mi pare prematuro anticiparlo. Di certo, ci attiveremo per completare il processo penale garantista ideato da Giuliano Vassalli, socialista e partigiano decorato, snaturato negli anni con conseguenze funeste che tutti possono vedere.
Il Governo viene accusato di “panpenalismo” per i numerosi reati e aggravanti aggiunti al codice penale. Come replica?
Abbiamo introdotto solo quei reati necessari per colmare un vuoto di tutela determinato o dall’evoluzione della tecnologa o da nuove forme di criminalità, come le frodi informatiche e quelle agli anziani. Osservo che per quello più criticato, il rave party, non è entrato in prigione nessuno, anzi il fenomeno si è estinto. Segno che ha funzionato.
Lei bacchetta chi «parla di indulto senza conoscerne le implicazioni». Ma il sovraffollamento nelle carceri rimane, con proteste e suicidi.
L’indulto, quando è motivato dall’esigenza di ridurre il sovraffollamento, non solo costituisce una manifestazione di debolezza dello Stato o addirittura di resa, ma è anche inutile. Parlano le cifre: nel luglio 2006, con il governo Prodi, la popolazione detentiva era di 60.710 detenuti. Con l’indulto ne uscì il 36%. Ebbene, tre anni dopo erano arrivati a 63.472, con una crescita costante e con una recidiva del 48%.
Dopo la nota circolare del Dap, molte associazioni segnalano dinieghi e restrizioni alle attività culturali in carcere. Lei ha detto che il 100% delle richieste è stato accolto, ma che il ministero è disponibile a integrare la circolare.
Credo sia stato fatto molto rumore per nulla. La cosa è già stata chiarita e sapremo contemperare le esigenze di sicurezza con quella della rieducazione del detenuto. Un principio scritto non solo nella Costituzione, ma scolpito nella nostra coscienza cristiana, proprio per evitare quella «cultura dello scarto» a suo tempo denunciata da papa Francesco.
Ministro, lei calcola che 10.105 condannati definitivi, con pena residua sotto i 24 mesi, possano accedere a misure alternative alla detenzione in carcere. Quando?
Spetta alla magistratura di sorveglianza - che ringraziamo per l’enorme lavoro e la cui pianta organica stiamo aumentando - decidere, caso per caso, se ne abbiano il diritto. Nel frattempo interverremo su altri tre settori: la carcerazione preventiva, per la quale oltre 15mila persone sono in cella in attesa di sentenze definitive; il trasferimento di stranieri nelle carceri dei Paesi d’origine, sono 20mila detenuti e basterebbe mandarne via la metà; infine abbiamo stanziato 5 milioni di euro annui per il trattamento dei tossicodipendenti in custodia attenuata, cioè in comunità o strutture accreditate diverse dal carcere. Anche qui siamo prossimi alla soluzione. Ma non sono cose che si possono improvvisare.
Però le comunità lamentano di non aver fondi a sufficienza. Così il meccanismo non rischia d’incepparsi?
In realtà, sta cominciando a funzionare bene. Purtroppo i fondi sono limitati dai rigori di bilancio, ma puntiamo molto anche su contributi privati e sul volontariato.

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