La campagna elettorale permanente è la prima causa dell'astensione
di Diego Motta
In Veneto, in soli 5 anni, sono andate ai seggi 572.247 persone in meno. Nord e Sud hanno ormai livelli d'affluenza (bassi) molto simili. Non si vota più neppure dove si è sempre votato. E i partiti? Parlano solo ai propri simpatizzanti e pensano a gestire consenso e quote di potere

Non è successo nulla, come dice il centrodestra? O è forse iniziata la rimonta, come azzarda il centrosinistra? La verità è che i commenti del giorno dopo sul voto in Veneto, Campania e Puglia, fatti a caldo dai due schieramenti, sono scontati, autocelebrativi e autoassolutori. Ricadono soprattutto nello stesso errore che ha prodotto l’unico fatto rilevante dell’ultima tornata: il deserto elettorale. In sintesi: si parla sempre di più ai propri simpatizzanti, e non agli altri, si cerca di mobilitare il proprio elettorato, si punta a consolidare le proprie quote di potere. È un rischio che si corre anche nell’immaginare la nuova legge elettorale.
Le ultime sei Regioni andate al voto hanno confermato le maggioranze uscenti (tre di centrodestra e tre di centrosinistra) a conferma del fatto che chi governa ha come priorità quella di prolungare l’esperienza amministrativa (anche avvicendando i candidati presidenti) e chi sta all’opposizione non tocca palla, a prescindere dagli argomenti utilizzati nel confronto politico. Non si avvertono dunque segnali di rivalsa, figurarsi se si può parlare di partecipazione. In 5 anni l’affluenza nella principale regione del Nord Est è scesa di 17 punti percentuali: per scegliere il candidato presidente sono andati ai seggi, in Veneto, 572.247 persone in meno. Anche laddove si votava di più, è calato il gelo elettorale, tanto che le percentuali di non voto tra i territori si avvicinano. Nord e Sud pari sono, nella marea montante della disaffezione. Fuori dai recinti della rappresentanza, in quel 56% di non votanti, c’è di tutto, a tutte le latitudini: i disillusi, gli indifferenti, gli apatici, i giovani, i meno giovani, i più ricchi, i più poveri, i credenti, gli atei. Tanti, da mondi diversi, sono entrati nell’oceano dell’astensione e non vogliono uscirne.
Dietro all’esito scontato del voto, ci sono alcune tendenze generali che meritano di essere sottolineate. Da alcuni anni a questa parte, la campagna elettorale non sposta più voti da una parte all’altra. Perché la politica è diventata già da tempo il palcoscenico per una campagna elettorale permanente, che fa del consenso l’obiettivo primario della propria azione. È la storia di tanti recenti confronti, nelle città, nelle Regioni, a livello nazionale ed europeo. Per quanto partiti e comitati elettorali si impegnino, a spostarsi una volta aperti i seggi, sono soltanto quote di elettorato marginali, quando non residue. Più spesso dentro gli stessi schieramenti, che non da uno schieramento all’altro.
L’era dell’astensione in cui siamo piombati sta diventando anche l’epoca della cristallizzazione. I voti si conservano, non si moltiplicano. La verità è che oggi lo status quo fa comodo: a chi è maggioranza e a chi è opposizione. Così si spiega l’immobilismo elettorale. Tutto è fermo, nel segreto dell’urna, e i risultati finali rispettano sondaggi e pronostici. La vera sfida per i partiti e per i candidati è quella di mobilitare minoranze combattive e rumorose. Convinco i miei elettori ad andare a votare? Buona parte del lavoro è già fatto. È un discorso che vale soprattutto per chi già governa, a tutti i livelli. Non a caso, si tende a governare per non scontentare nessuno. Di questo passo, però, il potere sarà sempre di più nelle mani di pochi, eletti da pochi. Si rinuncia a convincere chi non la pensa come me, perché trovare le ragioni per farlo mi porta a snaturare la mia offerta politica, mettendo a rischio un consenso certo.
La traversata sarà lunga, da qui alle Politiche, passando per la prossima consultazione referendaria sulla giustizia. È urgente che le istituzioni, prima ancora del mondo politico, ne prendano atto. Occorre una riscossa civica in grado di rimotivare chi si è allontanato e questo è un tema che non può non interessare anche la comunità cristiana. È un compito arduo, da affrontare con urgenza, sapendo che non basterà la fine della legislatura per invertire la rotta.
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