
L'anello di Papa Francesco - Cristian Gennari
A presiedere le esequie di papa Francesco è stato lo stesso cardinale Giovanni Battista Re, decano del Sacro Collegio, che nel 2013 alla rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI, in ragione del medesimo ufficio, coordinò le Congregazioni dei porporati e seguì le votazioni del Conclave che poi elesse Francesco. Di quei giorni è un episodio che oggi torna alla memoria.
Era consuetudine che si presentassero al neo-eletto Successore di Pietro alla Cattedra romana tre modelli per l’anello piscatorio. Il cardinale Re, conterraneo ed estimatore di Paolo VI, a lungo suo stretto collaboratore, sapeva che chi scrive aveva ricevuto in consegna dal segretario del Pontefice bresciano monsignor Pasquale Macchi diversi oggetti artistici donati a papa Montini. Alcuni giorni prima di quel Conclave di dodici anni fa Re mi chiese per telefono se tra gli stampi dei vari anelli commissionati all’artista Enrico Manfrini ve ne fosse anche uno per il nuovo Papa. Alla mia risposta affermativa chiese se potevo farglielo recapitare prima dell’apertura del Conclave. E così feci.
Concluso il Conclave con la proclamazione del nuovo Vescovo di Roma, e dopo il suo primo discorso ai cardinali nella Cappella Sistina, ricevetti un’altra telefonata dal cardinale Re, che con voce gioiosa e squillante disse: «Francesco ha scelto il calco dell’anello di Paolo VI, questa è la bella notizia. Ce n’è una seconda: non vuole fondere con materiale aureo il calco e tiene l’anello così com’è».
Eravamo nella settimana precedente la Domenica delle Palme. Una mattina ricevetti una telefonata nella mia parrocchia di Sion a Trieste: una voce femminile mi chiese se fossi monsignor Malnati e se rispondevo io a quel numero, mi disse che parlava dal Vaticano e che nel pomeriggio avrei ricevuto una telefonata da una persona della Santa Sede. Pensai potesse trattarsi di monsignor Paolo Sardi per qualche comunicazione. Nel pomeriggio arrivò la chiamata: «Sono Papa Francesco». Non conoscendo ancora la voce del nuovo Pontefice, esclamai: «Monsignore, non facciamo scherzi!». Ma lui continuò: «Non è uno scherzo, sono proprio il Papa, e volevo ringraziarla per l’anello che ha inviato e che so era stato coniato per Paolo VI». Rimasi stupito. Mi chiese come stavo e di raccontargli un po’ di cose sul mio servizio per la causa di beatificazione di Paolo VI, esortandomi poi a non preoccuparmi delle critiche verso Montini, Papa di grande valore e per lui «un santo innamorato di Cristo e della Chiesa». Mi raccontò poi di essere passato a suo tempo per Trieste e che in Argentina , vicino ai suoi, abitava una famiglia triestina e da questa aveva sentito una canzone in dialetto che parlava di “un tram di Trieste” e che aveva mangiato un dolce tradizionale di quella città che aveva un nome strano. Suggerii: «Presniz». Rispose subito : «Sì, sì, proprio così». Alla fine aggiunse: «Quando può venga a Roma. E non si dimentichi di pregare per me, e così io farò per lei».
Non andai a disturbare papa Francesco, ma rimasi in rispettoso contatto con padre Sapienza, tramite il quale ho capito quanto stesse a cuore al Papa lo stile e la spiritualità di Paolo VI. Ebbi diverse rispettose attenzioni da papa Francesco, come il biglietto autografo in occasione del mio cinquantesimo di ordinazione con cui mi esortava a vivere il mio sacerdozio «con gioia ed entusiasmo nel servizio del laicato e della cultura continuando a divulgare l’insegnamento dei Pontefici».
Papa Francesco molto attinse dagli insegnamenti e dai gesti di Paolo VI che riteneva attuali anche per la Chiesa di oggi: è il caso della scelta di una Chiesa dalla parte degli ultimi, come già si era espresso Paolo VI in Colombia in difesa dei campesinos, con la sua presenza tra i poveri dell’India nel ’64, con il dono dell’automobile papale a Madre Teresa di Calcutta e la rinuncia alla tiara per la costituzione di un fondo per i Paesi poveri. Questi furono alcuni gesti che segnarono la spiritualità di Bergoglio, così come la profetica enciclica Populorum progressio (1967) e l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975) per un impegno di evangelizzazione di una Chiesa con le porte aperte. Sono convinto che il pensiero di Montini fu alla base delle convinzioni maturate in quegli anni dal futuro Papa e poi espresse nel suo magistero sulla Chiesa intesa come “ospedale da campo”.
Non si può certo dimenticare il grande impegno di Paolo VI per la pace, apice del quale fu il discorso all’Onu: «Mai più la guerra». E anche in questo non è difficile scorgere come Francesco ha continuato in modo qualificante e personale l’ansia di pace di papa Montini fino all’ultimo dei suoi giorni. Infine, anche il voler essere deposto nella nuda terra ricorda lo spirito di Paolo VI per la propria sepoltura. Con la canonizzazione di Paolo VI, nel 2018, si pensava che la sua salma potesse venire riesumata dalle Grotte Vaticane per essere posta, come per gli altri Papi santi, nella Basilica di San Pietro. Non accadde: venni a sapere che era una disposizione di papa Francesco: la scelta di voler riposare nella nuda terra era esplicita volontà di Paolo VI ed era quindi un segno che doveva rimanere quale “profezia”. Dall’anello alla sepoltura, questa profezia montiniana papa Francesco l’ha voluta anche per sé.