mercoledì 25 giugno 2014
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Qando un Paese con la sua cultura è in crisi – e qui in Italia lo siamo – emette contemporaneamente molti segnali, tutti concordi. Magari perde malamente anche la possibilità di continuare a giocare un mondiale di calcio e ne incolpa soprattutto l’arbitro. Ma, soprattutto, perde entusiasmo e speranza, perde voglia di futuro, non crea e distrugge posti di lavoro "buoni" e ne aumenta di "cattivi", perde fiducia nelle istituzioni, aumenta la corruzione a tutti i livelli, non genera bambini, ha paura della vecchiaia e della morte... Un segnale che ha accompagnato sempre quelle crisi che si presentano principalmente come crisi etiche, è l’aumento dei maghi e del gioco malato, cioè dell’azzardo. Il ciclo economico-civile di un popolo è accompagnato – con segno inverso – dal ciclo dei culti alla dea fortuna. La nostra epoca non fa eccezione, ed è proprio il segnale del boom dell’azzardo che ci dice con una particolare forza che la "crisi" che stiamo vivendo è prima di tutto una crisi etica. Perché dietro ogni ricorso alla dea fortuna c’è un rinnegamento della virtù, e della fecitas publica, che la cultura greco-romana e l’umanesimo cristiano hanno sempre legato alle virtù e alla loro coltivazione costosa. Virtù batte fortuna: con questa grande idea e prassi siamo usciti dalle ere delle superstizioni ed entrati in quella nella civiltà. L’Italia in crisi è la terza economia al mondo come giro d’affari legati all’azzardo. È un dato terribile, che non dovrebbe farci dormire se pensiamo ai tanti effetti, tutti negativi, di questa classifica. Mentre le multinazionali dell’azzardo e delle scommesse sportive – sono le stesse, autentici mercanti di poveri e di fragilità – non si danno e non ci danno tregua per aumentare i loro enormi profitti, c’è tutta una società civile che lavora, lotta, parla, scrive, agisce, educa, previene, dando vita a una vera e propria resistenza civile. Accanto a questa Italia civile e virtuosa che lavora, non si rassegna e – a ragione – s’indigna, ce n’è però un’altra, molto più potente e con molti maggiori mezzi, che distrugge di notte quanto quella prima Italia costruisce di giorno. I signori dell’azzardo sono tra questi. E accanto alle forze che alimentano la cultura del "gioco malato" – è triste riconoscerlo, e spiace doverlo sottolineare ancora una volta – c’è purtroppo anche la Rai, che in particolar modo durante questi mondiali ha venduto ingenti spazi pubblicitari a società di scommesse e di giochi d’azzardo. E così mentre milioni di giovani, e moltissimi minori, guardano appassionati lo sport dei loro sogni (e della loro delusione di tifosi), il servizio pubblico radiotelevisivo che vive anche grazie al nostro canone, commette molti errori allo stesso tempo, e tutti gravi. Innanzitutto, associa lo sport alle scommesse e all’azzardo, che sono invece la sua malattia. Lo sport è faccenda di disciplina, di rigore, di impegno, di virtù insomma (non dimentichiamo che la parola greca retè, che noi traduciamo "virtù", significava eccellenza), dove i risultati arrivano con la fatica e con il merito: l’azzardo è l’esatto opposto di questo. Poi, rinnega la sua funzione di servizio pubblico, quando incita al consumo di un "male" economico, che produce immensi costi sociali e umani che aumentano il nostro debito pubblico. Mette, quindi, sullo stesso piano i prodotti delle aziende che fanno bella l’Italia e il mondo con la loro qualità e le imprese dell’azzardo che fanno profitti sulla pelle delle persone fragili. E infine – ma potremo continuare – non sta dalla parte delle famiglie che soffrono sempre più per la diffusione crescente di questa malattia perniciosa e subdola. La nostra età sarà ricordata anche per l’invenzione dei gratta-e-vinci e delle slot machine, ma, soprattutto, per aver affidato la gestione del cinico affare di cui essi sono parte a delle multinazionali "for-profit". Una scelta scellerata, analoga a quella di chi decidesse di affidare la gestione delle comunità di recupero dei tossicodipendenti a produttori e monopolisti della droga, o di far curare i dipendenti dall’alcol a strutture guidate da aziende di superalcolici.  ino a pochi decenni fa i 'monti dei pegni' erano gestiti da religiosi (in particolar modo dai francescani), che non facevano profitti con chi, disperato, vendeva l’oro di famiglia. Un Parlamento e un Governo veramente dalla parte della famiglie, oggi, dovrebbero imporre che le società che gestiscono l’azzardo siano senza scopo di lucro, gestite da chi accompagna con pietas queste persone in difficoltà, e non ne incentivano invece i 'consumi', facendo soldi (e tantissimi) sulla loro rovina umana ed economica. Ma non si tratta solo di azzardo patologico: ogni euro inserito in una macchinetta o speso in un gratta-e-vinci o scommesso online alimenta una economia sbagliata, e – non dimentichiamolo – viene sottratto alla buona economia, che ne avrebbe tanto bisogno. Venerdì prossimo molti di coloro che partecipano al movimento SlotMob andranno a Viale Mazzini e busseranno alle porte della Rai per consegnare in modo festoso e serio una lettera ai dirigenti del servizio pubblico radiotelevisivo. Chiederanno, proprio come torniamo a fare ora da queste colonne, da cittadini, una svolta nella politica commerciale della Rai, perché quella che permette certe scelte non è degna dell’Italia, e non è degna della principale 'azienda culturale' del Paese, nostro prezioso bene comune. La Rai che abbiamo conosciuto, che a tratti ritroviamo e che sempre amiamo, quella di cui c’è bisogno, non è la Rai che affitta se stessa ai signori dell’azzardo.
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