lunedì 11 giugno 2012
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Caro direttore,
un tempo si diceva che i mass media sono il quarto potere (dopo quello legislativo, esecutivo e giudiziario). Ormai è chiaro che le cose si sono rovesciate: il primo potere l’hanno i mass media (che fanno i processi in diretta e decidono chi colpire), il secondo certi giudici (che fanno le leggi al posto del Parlamento), poi vengono gli altri poteri, insidiati ormai però dagli oscuri centri finanziari, lobbistici, massonici, e via dicendo. Il campo delle decisioni è ormai diffuso a numerosi livelli (ultima arrivata l’Europa) e la pletora burocratica ha spesso buon gioco a insabbiare ogni cosa.
Nella selva dei mass media lei, caro direttore del nostro Avvenire, affronta le questioni con tanto buon senso, pazienza e fede. Per questo merita la nostra più piena solidarietà e sostegno.
Purtroppo però lei e i suoi colleghi siete delle mosche bianche. Alcune sere fa un inviato di La 7 ha affrontato numerosi prelati (cardinali e vescovi) con una serie incalzante di domande tra loro scollegate e a ritmi forsennati senza dare il tempo materiale di capire e rispondere con un ragionamento logico e argomentato. Il suo scopo – la cosa è apparsa chiarissima – non era di conoscere il parere della persona interpellata e magari di valutare a sua volta la validità delle argomentazioni, ma soltanto di costruire la sensazione che gli interpellati fossero in imbarazzo e confusione di fronte a tali domande. I colleghi giornalisti in studio hanno detto che questo è il modo di fare giornalismo oggi, e hanno espresso apprezzamento per tale intervista.

Riflettendo su questo ho capito che siamo di fronte a una vera e propria violenza di cui possiamo identificare gli strumenti: il giornalista tiene lui in mano il microfono, decide lui i tempi e i ritmi delle risposte, passando subito ad altre domande non appena l’interlocutore mostra di aver trovato il filo logico di una risposta; suo è il montaggio di tutto l’insieme. Perciò chiedo a quanti vengono invitati sui teleschermi di non prestarsi a questa manipolazione, ma di concordare in anticipo le modalità per un’intervista chiara, tranquilla e veritiera e di esigere il rispetto di quanto stabilito.
don Marino Tozzi, Terra del Sole (FC)

 
La sua riflessione è amara e azzeccata, caro don Marino. Non bisogna infatti sopravvalutare i giornalisti, ma è anche giusto non sottovalutarli. E soprattutto – me lo hanno insegnato anni di lavoro accanto a buoni maestri e a seri colleghi – non bisogna mai sottovalutare l’ebbrezza micidiale provocata dal "potere" di dare informazione e, addirittura, di "farla" (possibilità che può essere sviluppata come un "servizio" e, dunque, in senso luminoso e creativo o, purtroppo, sfruttata secondo logiche e interessi particolari e spesso anche oscuri e insidiosi). Qui ad Avvenire cerchiamo di vaccinarci ogni santo giorno di lavoro anche dalla più innocente e banale delle tentazioni, quella di pensarci padroni delle notizie e dispensatori di sentenze su persone e avvenimenti. E lo facciamo ricordando a noi stessi che la nostra libertà di cronisti è un valore grande perché è specchio della libertà dei lettori e del loro diritto di essere informati in modo corretto e responsabile. Chi, come noi, esercita uno sguardo partecipe ed esigente sulla realtà – l’ispirazione cattolica di Avvenire ce lo impone – e si mette alla prova di una impegnativa, scomoda e maiuscola Verità (che diventa pietra di paragone nel confronto con le piccole verità di ogni giorno) impara anche il peso delle opinioni che esprime. Non possono non esserci, ma mai possono distorcere e cancellare i fatti, sovrapponendosi a essi. La verità è la via dell’autentica libertà anche di informare. E l’onestà fa, dunque, capaci noi giornalisti di essere attendibili e giusti, ma non ci assolve da arroganze ed errori e non ci allevia alcuna fatica. Grazie della stima che ha per Avvenire.
Marco Tarquinio

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