domenica 20 giugno 2010
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Caro direttore,sono un ingegnere genovese quarantenne. Ho lavorato diversi anni negli allestimenti navali (specialmente cabine e bagni prefabbricati) per le maggiori navi da crociera mondiali fino a quando l’ennesima piccola-media industria a Genova ha dovuto chiudere a causa della crisi del settore cantieristico navale. Rimasto senza occupazione sono stato quindi costretto ad un lavoro di ripiego per mantenere la famiglia.Sono genoano e quando sento parlare di demolire lo stadio della più antica società calcistica italiana a causa della sua collocazione urbanistica, mi sento male.Sono cattolico e quando sento parlare del sovraffollamento delle carcerci mi sento anche peggio.Queste tre situazioni, apparentemente slegate, mi hanno portato alla seguente riflessione: costruiamo una nave carcere da tenere in rada che permetterebbe:1. di alloggiare "comodamente" 2-3mila detenuti;2. di rilanciare il settore della cantieristica navale facendo rinascere tante società costrette a chiudere;3. di eliminare le carceri dall’attuale collocazione a fianco dello stadio permettendo di utilizzare lo spazio ricavato per infrastrutture a servizio dello stesso stadio.Il progetto è tecnicamente fattibile e risolverebbe molti problemi contemporaneamente. Mi piacerebbe che si aprisse uno studio di fattibilità in modo da poter valutare nei dettagli questa proposta.

Lorenzo Curinga Genova

L’ipotesi di lavoro che lei tratteggia, gentile ingegner Curinga, è interessante. E infatti, da un po’ di tempo, è sul tavolo in uno dei suoi aspetti cardine: gli istituti di detenzione sull’acqua. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America questa idea è stata tradotta in realtà, qui da noi se ne parla. L’ultima occasione importante – Avvenire ne ha dato conto lo scorso 27 febbraio a pagina 12, con gli articoli di Nello Scavo – è stata offerta dal congresso del Sidipe (il Sindacato dei dirigenti degli istituti di pena) svoltosi a Trieste. In quella sede, la Fincantieri presentò addirittura un piano operativo per la realizzazione – in appena un anno di tempo – di «carceri galleggianti». Immagino che la drammatica (31 suicidi, 67mila detenuti in celle per 43mila persone la massimo) emergenza carceraria stia inducendo riflessioni supplementari su questa e su altre soluzioni al disumano sovraffollamento delle strutture esistenti, ma soprattutto sono certo che finirà per imporre una ricerca, persino affannosa, di rimedi efficaci, rapidi e non eccessivamente onerosi per ridare civiltà e senso alla detenzione e al recupero delle persone che hanno commesso reati. Credo, perciò, che l’argomento «carceri sull’acqua» potrebbe tornare presto di attualità, anche se so – il parere degli addetti ai lavori è quasi unanime sul punto – che si tratterebbe di una soluzione tampone, utile per agevolare la riorganizzazione e modernizzazione del nostro sistema carcerario. Il progetto da lei abbozzato, caro amico, è tuttavia a due facce, visto che riguarda pure la sistemazione e la valorizzazione urbanistica di un’importante area della sua bella Genova. Trovo che si tratti di una sfida affascinante, pensata per una realtà precisa eppure emblematicamente lanciata, nel nostro Paese peninsulare e insulare, a molte altre città. Le auguro che, anche a quest’ultimo proposito, la sua idea possa essere colta e valutata con giusta attenzione.
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