Un difficile terzo tempo
mercoledì 20 gennaio 2021

Il secondo tempo della crisi si è chiuso, come da previsioni, con una 'fiducia' senza maggioranza assoluta al Senato. Non sono insomma risolti i problemi politici del governo e della coalizione giallo-rossa ed è più complicato il percorso d’uscita del Paese dalla crisi sanitaria e sociale e dall’incertezza politica. Quel numeretto, 156, testimonia che il percorso indicato dal presidente del Consiglio Conte resta comunque in salita.

Ciò che cambia, sicuramente, è la sceneggiatura del nuovo pezzo di legislatura iniziato ieri sera. Uno dei protagonisti, Matteo Renzi, si mette a bordo campo facendo un’altra scorta di quei famosi «pop corn» con cui aveva accolto, a inizio legislatura, l’alleanza giallo-verde propiziata anche allora dalle sue mosse. Evidentemente, il leader Iv è convinto che la trattativa tra il premier e i 'volenterosi' darà frutti mediocri e persino indigeribili. E che una ragione incassata ex-post possa poi cancellare o sfumare il torto ex-ante di aver ribaltato il tavolo in un momento di fragilità del Paese.

L’altro protagonista, Giuseppe Conte, resta al centro della scena, ma indebolito.

Nei discorsi della fiducia alle Camere ha ceduto su richieste che l’intera coalizione – al netto delle 'intemperanze' di Iv – aveva messo sul tavolo da molti mesi: la prospettiva di un rimpasto, la consegna della delega ai Servizi segreti, lo sblocco delle riforme istituzionali, la parola 'fine' a una serie di ambiguità in politica estera che si erano trascinate dal Conte I. Inoltre, è stato sgonfiato il tema di una governance tecnica e non politica del Pnrr, il famoso Piano nazionale di ripresa e resilienza che dovrà rappresentare l’applicazione italiana del Next Generation Eu. L’ultimo totem rimasto, nei fatti, è il Mes.

Il terzo tempo che si apre vede quindi il premier alle prese con la sfida di dare un assetto credibile al governo del Paese. È in testa a lui il negoziato con i 'volenterosi', che non potrà scadere nel ' do ut des' con singoli parlamentari di varia provenienza politica, mercanteggiamenti che il Paese capirebbe ancora meno di questa incomprensibile crisi. Sono in capo a lui le richieste pressanti del Pd di un «cambio di passo». E ancor più di prima, il premier deve farsi garante di un Movimento 5 stelle che non ha ancora completato la propria transizione dal populismo alla piena responsabilità di governo, e prova ne è la sospensione del percorso che avrebbe dovuto portare alla nuova leadership.

Pur con numeri risicati al Senato, e senza l’ombra (o l’alibi) di Renzi, Conte però ha tre punti di appoggio: il clima da necessitata unità nazionale che si è creato intorno ai provvedimenti-topici dell’era Covid, ovvero gli aumenti di deficit e i decreti che ristorano le attività economiche costrette a chiusure parziali e totali; la stagione internazionale che si apre con la presidenza di Joe Biden a fronte delle derive pericolose del populismo sovranista – cui l’Italia non è purtroppo immune – rese evidenti lo scorso 6 gennaio dall’attacco a Capitol Hill; la fiducia che il Paese ha consegnato al premier durante il primo lockdown e che resiste tuttora. Tre punti di appoggio che danno a Conte la chance (non la certezza) di condurre in porto l’impresa di costruire in questo Parlamento segnato da radicalizzazioni e personalismi una maggioranza con un credibile connotato di responsabilità.

Tempo e margini per rimettere il treno sul binario sono però stretti. E il Next Generation Eu non è uno slogan, ma l’opportunità che coloro che non hanno mai vissuto stagioni dorate aspettano da decenni. Ci sono giovani generazioni di italiani – Conte, Renzi, Di Maio e Zingaretti ne sono certamente edotti come Salvini, Meloni e Tajani – che non hanno mai provato l’ebbrezza di poter programmare in un contesto favorevole le tappe essenziali della loro vita.

Quel poco di credito di cui la politica nazionale ancora gode svanirebbe se il Pnrr si rivelasse un flop a causa di una classe dirigente litigiosa e arroccata. E le prospettive diventerebbero cupe, anche per la tenuta democratica. Dopo il voto del Senato, dunque, si apre un percorso difficile, ma che ha come alternativa la palude (posto che il ricorso alle urne anticipate non è realmente all’ordine del giorno e che il ritorno al dialogo tra Conte e Renzi sembra escluso a causa dalla forte personalizzazione dello scontro).

Per di più ci sono limiti da rispettare. Limiti di tempo, perché bisogna fare in fretta, come ha già saggiamente avvertito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E limiti di etica politica. Tra questi, uno è davvero insuperabile: una cosa è raccogliere 'volenterosi' e farne – se questa fosse davvero la prospettiva politica personale del premier Conte – il seme di una futura lista elettorale; altro è provare a precostituire con manovre di Palazzo contenitori su cui poi arbitrariamente e unilateralmente apporre (anche) l’etichetta 'cattolica'. L’impegno politico dei cattolici nei tempi delle grandi ricostruzioni nasce sempre e solo 'dal basso', tra la gente e per la gente. È un impegno libero e ha l’anima del popolo.

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