
Una delle 600 “Madonnelle” ancora presenti sulle case e lungo le strade di Roma - Agenzia Romano Siciliani
Prosegue il nostro itinerario giubilare nei luoghi della memoria cristiana di Roma, tra chiese, santi e immagini. L’intento è aiutare i “romei” di oggi a trarre dalla visita “ad Petri sedem” conforto e conoscenza della vita per la quale è vera l’immagine dantesca della «Roma onde Cristo è romano».
«In manibus tuis sortes mea », “nelle tue mani la mia sorte”. Che cosa era Roma tra Cinquecento e Seicento lo documenta la storia. È la Roma che esce dal Sacco dei Lanzichenecchi del 1527 con il suo carico di flagelli: epidemie, carestie, guerre. Tempi bui anche per la Chiesa. Proprio in questi tempi trova però grande espressione la devozione e la pietà popolare per la Vergine Maria, alimentata anche da insigni santi come Ignazio di Loyola e Filippo Neri. Il maggior numero di edicole mariane poste sui muri e nelle pubbliche strade, che i romani chiamano Madonnelle, si trova nei rioni che erano considerati più turbolenti e malfamati. Come il Parione, il quartiere di san Filippo. La sua grande devozione per la Madonna è nota: la Chiesa Nuova, Santa Maria in Vallicella dell’Oratorio dei Filippini, venne fatta costruire nel 1535 dal santo per accogliere una effigie miracolosa che si trovava sul muro di una stamberga nella vicina via della Stufa. Spesso Filippo si trovava assorto in preghiera davanti a queste edicole sacre. Per questo dopo la sua morte furono dipinte Madonnelle che lo ritraggono in preghiera per strada davanti a queste immagini, come quella che si trova ancora oggi vicino a San Girolamo della Carità, dove si formò il primo nucleo degli Oratoriani.
In quei quartieri brulicanti di vicoli e di vita, dove non c’era distinzione tra dentro e fuori, tra le mura di casa e le strade, le Madonnelle stavano ad altezza d’uomo «come porte d’ingresso », sulle facciate delle case, perché si potessero facilmente accendere lumi, così che «i voti sospesi intorno e l’affollamento continuo dei devoti parlano de’ suoi prodigi». Spesso le immagini mariane venivano poste in vicoli e passaggi considerati pericolosi, nei cosiddetti “malpassi”. Come la Madonna in via San Marco, che oggi si trova in una cappella all’interno di Palazzo Venezia. Si racconta che un facinoroso preso alle spalle da un nemico volgendo gli occhi a quel dipinto si appellò a Maria: «Aiutami che son tradito», e ottenne la grazia di avere salva la vita. Anche la Madonna della Misericordia era dipinta in un altro di questi malpassi dove di notte si riunivano i giocatori d’azzardo. Un giocatore infuriato per la perdita al gioco le scagliò contro una pietra colpendola in pieno volto, sotto l’occhio destro. Sul volto della Madonna, nel punto colpito, si formò un livido rosso di sangue. In seguito a questo prodigio l’immagine miracolosa venne portata dal popolo nella vicina chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini. Queste storie diffuse dai romani sono state tutte raccolte. Già alla fine del Seicento, infatti, si diffondono guide a uso dei pellegrini per visitare le edicole sacre romane più famose. E ai primi del Settecento quella redatta dal padre gesuita Concezio Carocci che, nel volume Le immagini più insigni della Beata Vergine Maria in Roma, raccoglie le storie di miracoli da lui raccontati proprio davanti alle immagini mariane. Era infatti in uso, nel clero religioso, tenere omelie una volta alla settimana presso le edicole più venerate. Sotto l’immagine dell’Arco della Ciambella a motivo di questa usanza si trova ancora scritto: «T’innalza o Vergine casti pensieri/ chi pensa e medita nei tuoi misteri/ e tu nell’anima accendi amore/ allora che ei t’offre il core». Ecco allora come vicoli, piazze, archi, malpassi e stamberghe divengono luoghi dove i segni della fede entrano nella vita della gente comune e diventano lo scenario in cui la guarigione o la conversione hanno la possibilità di lasciare un’impronta materiale.
Il moto di questa pietà che caratterizza la storia quotidiana non si ferma nel Secolo dei Lumi. Sul fine del Settecento, in un grave momento di crisi economica e sociale, quando l’invasione di Roma da parte delle truppe francesi sembra ormai inevitabile, ecco che un evento eccezionale legato alle Madonnelle investe la città. La mattina del 9 luglio 1796 un uomo, passando davanti alla venerata immagine della Madonna dell’Archetto posta su un muro nel rione Trevi, vicino a piazza Santi Apostoli, vide quell’immagine muovere ripetutamente gli occhi. Nello stesso momento giunse la notizia che anche l’immagine della Madonna del Rosario in via dell’Arco della Ciambella, quella dell’Addolorata nel vicino vicolo delle Bollette e quella della Divina Provvidenza in via delle Botteghe Oscure – dove ancora oggi si trovano – avevano ugualmente, nel medesimo tempo, mosso gli occhi. Contemporaneamente diverse Madonnelle furono viste compiere prodigi che continuarono a verificarsi anche nei giorni successivi. Così è trasmesso dagli Atti del processo canonico redatti nel 1797. Eminenti ecclesiastici si recarono sul posto per accertarsi della veridicità dei fatti e riferire al Papa. Raccolte le testimonianze, nell’ottobre di quello stesso anno, Pio VI (1775-1779) ordinò i processi canonici, tra lo scetticismo di molti e la derisione dei giacobini.
Si può infatti immaginare l’effetto che questi fatti ebbero sui romani in quelle particolari circostanze storiche, e non mancarono le interpretazioni politiche. Anche il Belli dedicò a questi eventi un suo sonetto, e la satira dell’epoca se ne occupò in una pasquinata apparsa nel 1798 su Il Monitore di Roma. È una conversazione tra la celebre statua parlante Pasquino e quella di Marforio che termina con queste parole: «Pasquino: “Oh bella! Negli anni passati verso questi giorni le madonne non aprivano gli occhi? Questo miracolo ritornerà, lo vedrai”. Marforio: “Ma noi non ci crederemo, e per questo non saremo meno buoni cristiani”». Gli atti del processo canonico erano stati redatti sotto l’incombere degli eserciti della Francia rivoluzionaria. La relazione scritta dall’abate Giovanni Marchetti, su incarico del cardinale Giulio Maria della Somaglia, riconobbe per ben 11 delle 26 edicole di strada l’autenticità del miracolo. Tra queste, la prima a muovere gli occhi: la Madonna dell’Archetto, per la quale Pio VI indisse una festa solenne di ringraziamento: «Da ogni parte ci premono angustie, sorgono fieri e tremendi sempre nuovi nemici. Tu, che in questa immagine volgendo gli occhi in Roma mostrasti quale e quanta fosse la Tua potenza e la Tua pietà, volgili ora a nostro pronto soccorso». Nel 1851 questa veneratissima immagine fu posta in una cappella eretta nello stesso vicolo, dove tuttora si trova. È oggi considerata il più piccolo santuario mariano di Roma. Le furono particolarmente devoti san Benedetto Giuseppe Labre, san Gaspare del Bufalo e san Massimiliano Kolbe.
Ancora a metà dell’Ottocento le edicole mariane disseminate nei vicoli erano contornate dall’enorme varietà di oggetti votivi – ex voto – che non lasciavano indifferenti gli stranieri che giungevano a Roma. La letteratura di viaggio ottocentesca ne offre testimonianza. Lo scrittore danese Hans Christian Andersen ricorda nel suo romanzo L’improvvisatore come le lampade mariane illuminavano le strade strette e sconnesse. «Nel mese di maggio più volte ho incontrato nell’ora dell’Ave Maria una processione spontanea davanti ad una di quelle innumerevoli Madonne che la devozione dei romani ha incastrato in tutte le muraglie», scrive lo scrittore francese Edmond About, e nei suoi Diari di Viaggio il suo connazionale Ernest Renan, ricorda: «Al mezzo dì, gruppi di popolani radunati sotto alcune immagini intonavano ad alta voce l’Angelus». Ma non mancarono anche le critiche: «A Roma – sottolinea un altro scrittore d’oltralpe, Hyppolite Taine – i credenti sentono la necessità di dare forma umana a tutte le concezioni religiose », e deride «quella volontà ostinata di avere necessità di genuflettersi umilmente, quel fare atto di costrizione, espressione di un culto meridionale meschino, che non esita ad appendere la figura della Vergine anche nei luoghi più volgari, accanto ai caffè, persino nelle bettole e nelle botteghe tra le salsicce e i prosciutti». Ma nelle pagine scritte nel 1870 a uso del pellegrino, l’Abbè Rolland spiega che «l’amore dei romani per la Vergine è simile a quello dei figlioli per la propria madre, a volte può sembrare irrispettoso ma la confidenza tuttavia dipende unicamente dal fatto che di un legame filiale si tratta».
Con il XX secolo, in seguito alla ristrutturazione urbanistica di alcune zone della città, molte delle edicole mariane non vennero ricollocate nel nuovo assetto. Ed è via via andato perdendosi quel rapporto stretto, quella familiarità con queste immagini che aveva caratterizzato per secoli la vita quotidiana dei romani. Una familiarità di cui è interprete potente Caravaggio nella celebre Madonna dei Pellegrini (1604-1606), oggi nella basilica di Sant’Agostino. Nella tela è rappresentata la stessa scena che doveva comporsi sotto una qualunque edicola romana: uomini e donne in ginocchio ai piedi dell’immagine di Maria con il Bambino in braccio. Nella sua ferialità il realismo è tale che essi sembrano davvero aver bussato alla porta di casa di Maria, che ha le sembianze di una donna conosciuta nel quartiere, e che lei si sia fatta loro incontro sulla soglia per rispondere a chi la chiama. È la «Madre col Figlioletto in braccio », come è scritto sotto un’immagine di Maria Consolatrice nel rione Campitelli: «Qui con dimessa fronte/ il passegger s’arresta,/ qui delle grazie è il fonte/ di Dio la Madre è questa;/ mirala, piangi e prega/ che Ella a devoti suoi grazie non nega».