sabato 3 dicembre 2011
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Alla fine, incredibilmente, pare che stia diventando un patrimonio comune l’i­dea che la fine dell’euro comporterebbe la fi­ne dell’Unione Europea, parola di Sarkozy, perché se anche quest’ultima non coincide con Eurolandia di sicuro l’euro rappresenta la scommessa più ambiziosa del progetto eu­ropeo e ben difficilmente il secondo potreb­be sopravvivere alla morte del primo. Non è poco, se solo consideriamo che fino a pochi mesi fa il mantra degli 'euroillusi' (o euroil­lusionisti?) era «non si può uscire dall’euro perché non esistono le procedure per farlo». Un’idiozia paragonabile a quella di sostene­re che «non si può morire se prima non si è fatto testamento»… Ora che ci avviciniamo all’orlo del baratro si fa più chiaro che inve­ce per l’Italia come per altri Paesi le alterna­tive possibili sono due, evidentemente dagli esiti non precisamente identici. La prima alternativa è quella di uscire dalla moneta unica, cosa che avverrà puntual­mente se il governo Monti non riuscirà a rea­lizzare rapidamente e integralmente le rifor­me domestiche strutturali per le quali ha ot­tenuto la fiducia. Sarebbe uno scenario e­stremamente pericoloso per un Paese come il nostro, dove al disordine dei conti pubbli­ci occorre sommare la caduta verticale di consenso e legittimazione della politica, la crescente disoccupazione (innanzitutto gio­vanile e femminile), la pluridecennale non crescita economica (con conseguente peg­gioramento qualitativo del comparto indu­­striale), la sperequazione tra privilegiati ga­rantiti e resto del mondo (ancor più inac­cettabile in tempi di crisi) e la penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto e­conomico e in quello politico. Come è stato sintetizzato dalla cancelliera Merkel nel suo discorso di ieri, il crollo dell’Italia, date le di­mensioni del Paese, provocherebbe proba­bilmente la crisi dell’intera Eurolandia e la fine dello stesso euro. La seconda alternativa è quella di intra­prendere le strade delle riforme italiane ed esercitare tutta la pressione necessaria per realizzare congiuntamente quelle riforme europee senza le quali, comunque, la so­pravvivenza dell’euro risulterebbe compro­messa. Come economisti del calibro di K­rugman hanno sempre ribadito, e come di­versi politologi hanno sostenuto a lungo i­nascoltati, il progetto dell’euro nasce in realtà monco. Il trasferimento di sovranità dagli Stati nazionali all’Unione è un trasfe­rimento a metà (e quindi un non-trasferi­mento), perché se sottrae ai singoli governi lo strumento della svalutazione competiti­va, lascia però nelle loro mani le politiche fi­scali. Da un lato la rilassatezza con cui i pa­rametri di Maastricht sono stati applicati (in particolar modo da quando la Francia ne chiese la sostanziale sospensione alla fine del 2008), dall’altro l’impossibilità per la B­ce di svolgere la propria azione anche a fa­vore della crescita oltre che a salvaguardia della stabilità dei prezzi ha reso l’euro una coperta troppo corta per le economie di tut­ta la zona euro.La vera debolezza all’inter­no della Ue non è rappresentata dalla man­canza di un’astratta solidarietà. Il vero pun­to debole si chiama euro. Perché così com’è congegnato, completamente privo di pro­tezione politica rispetto all’azione inco­scientemente sperperatrice di alcuni gover­ni e ristrettamente arcigna di altri, l’euro fi­nisce con l’essere troppo spesso la perfetta cinghia di trasmissione delle tensioni spe­culative dei mercati. Ben venga quindi la necessaria riforma dei Trattati sull’Unione Europea, ma a condi­zione che non vada nella direzione sbaglia­ta, ovvero in quella del ripristino delle fron­tiere interne o della semplice introduzione di penalizzazioni automatiche nei confron­ti degli Stati reprobi di 'finanza allegra'. Quel che occorre è invece la creazione di un go­verno delle politiche fiscali a livello di Euro­landia, capace di coprire le spalle all’euro e di rappresentare un credibile paladino ri­spetto alle sfide della speculazione. Se non completeremo il trasferimento di so­vranità iniziato con l’introduzione dell’eu­ro, l’unica alternativa possibile che sarà im­posta all’Italia come alla Germania dall’ine­sorabile logica delle cose sarà il disastroso ri­torno alle monete nazionali. Altro che l’eu­ro a doppia velocità...
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