martedì 12 aprile 2011
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Quello tra il Libano e Israele è oggi uno dei confini più sicuri del mondo, nonostante i due Paesi continuino ad avere consistenti problemi di sicurezza. Israele sta tornando a sperimentare non solo l’incubo dei razzi lanciati dalla Striscia di Gaza, ma anche quello degli attentati terroristici sul proprio territorio. Il Libano è costantemente sull’orlo del baratro rappresentato dal riprendere degli scontri settari, in una situazione di apparente tranquillità dipendente dal fatto che la formazione politico-militare più pericolosa per la sopravvivenza del suo precario equilibrio interno è diventata, dopo la caduta dell’esecutivo Hariri, il principale azionista del futuro governo. Intanto, un attentato contro una chiesa nella cittadina di Zhale ha ricordato a tutti quanto sia fragile la pace nel Paese dei Cedri.In maniera per nulla paradossale, i disordini violentissimi di queste settimane nella vicina Siria hanno allentato la sensazione opprimente di un ritorno in grande stile della presenza di Damasco nella vita politica libanese, ma hanno anche reso più nervose proprio le formazioni del "fronte dell’8 marzo" (gli sciiti di Hezbollah e Hamal e i cristiani dell’ex generale Aoun) che, grazie al ribaltone del Partito socialista del druso Jumblatt, erano riuscite a sconfiggere la coalizione riformatrice del "14 marzo" (composta dai sunniti di Hariri e dalla maggioranza della altre formazioni cristiane). L’"8 marzo" è infatti fortemente appoggiato dai siriani (oltre che dagli iraniani) e rischia di vedere la sua posizione molto indebolita qualora il regime di Assad dovesse attraversare una crisi duratura o addirittura crollare. Il Libano meridionale, a sud del fiume Litani, è da sempre un feudo di Hamal ed Hezbollah, e dal 2006 è anche la zona nella quale staziona Unifil II, la forza di interposizione voluta dalle Nazioni Unite, per garantire il rispetto della tregua tra Israele e Libano.L’Italia ha giocato un ruolo decisivo fin dalle prime ore per rendere possibile l’esistenza e il dispiegamento di tale forza, e ancora oggi ne costituisce una componente determinante, con il settore Ovest affidato nell’ultimo semestre alla responsabilità della Brigata di cavalleria "Pozzuolo del Friuli". Grazie alla presenza delle truppe di Unifil, le Forze armate libanesi (Laf) hanno potuto gradualmente riassumere il controllo di un territorio dal quale erano state assenti dalla fine degli anni 70 al 2006. Ma le modalità attraverso le quali contribuire alla riaffermazione della sovranità libanese non si sono limitate alla vigilanza del rispetto della tregua e all’assistenza alle Laf, sono passate anche attraverso la possibilità di tracciare sul terreno una linea armistiziale concordata tra le parti, alle cui spalle scorre la "barriera tecnica" eretta dagli israeliani dopo il ritiro delle proprie truppe dal Libano. Si tratta della cosiddetta "blu line", una lunga sequenza di piloni di cemento alla cui sommità è collocato un bidone dipinto di blu, visibile da chiunque si avvicini in modo da evitare il ripetersi di sconfinamenti accidentali. La posizione Unifil più prossima a questa linea, a circa dieci metri dalla barriera tecnica israeliana, è sorvegliata da un plotone del Reggimento Genova cavalleria, che ogni venti giorni si alternano con i propri commilitoni, in una edizione moderna e in sedicesimo della Fortezza Bastiani. Ma guai a lasciarsi ingannare dalle apparenze. Basta avvicinarsi ai piloni, per veder sopraggiungere in poco più di tre minuti le pattuglie israeliane.Fino ad ora sono stati piazzati circa la metà dei piloni previsti, che dovrebbero andare dal mare fino al confine siriano, in parte per le contestazioni reciproche tra israeliani e libanesi, in parte per le difficoltà nel loro collocamento, legate alla natura impervia del terreno e alla presenza di campi minati. Si tratta di campi minati che risalgono ancora ai tempi dell’invasione del Libano degli anni 90. Ad aprire i 3 corridoi nella zona di competenza italiana che consentissero il posizionamento dei "blue barrels" sono stati i genieri del Battaglione Verbano, con un lavoro tanto pericoloso quanto poco conosciuto. Bisogna vederlo da vicino il lavoro di questi professionisti, uomini e donne del nostro Esercito, per poterlo davvero apprezzare e per provare legittimo orgoglio per l’immagine del nostro Paese e del suo contributo alla pace che essi assicurano giorno dopo giorno. Qualcosa che i libanesi, riconoscenti, evidentemente sanno valutare e apprezzare probabilmente meglio di noi.
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