Studiate e leggete Dante, anzi camminate con lui
venerdì 26 marzo 2021

Studiate Dante, ma prima leggetelo. Leggete Dante, ma meglio ancora seguite il suo modello: abbracciate quel tanto di esilio che ogni essere umano è chiamato a patire, coltivate la speranza, praticate la misericordia, cercate la libertà, fate in modo che il vostro sguardo si fissi nel volto di Dio, «Splendore della Luce eterna».

È un Dante da riconoscere come compagno di strada e non da ammirare a rispettosa distanza quello che papa Francesco descrive nelle pagine di Candor Lucis aeternae, la lettera apostolica pubblicata ieri, nel settimo centenario della sua morte e nella ricorrenza del cosiddetto 'Dantedì', il giorno nel quale, secondo il largo consenso degli esperti, nell’anno 1300 sarebbe cominciato il viaggio ultraterreno del poeta. Nel documento si sottolinea subito come il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, fosse anche il primo giorno dell’anno secondo il calendario fiorentino in uso all’epoca di Dante. Un conteggio condotto a partire dall’istante dell’Incarnazione, l’evento fondamentale della storia della salvezza, al quale qui Francesco si riferisce indicandolo come «il vero centro ispiratore e il nucleo essenziale di tutto il poema». Per il Papa, Dante è poeta, e poeta cristiano, proprio in virtù della concreta adesione alla realtà che gli permette di trasfigurare la realtà stessa in una prospettiva mistica e teologica, nella quale il destino di ciascuno misteriosamente contiene l’intera vicenda della caduta e della redenzione umana.

Dante, del resto, ha tutti i requisiti per essere apprezzato da Francesco, che già in passato non aveva mancato di citare i suoi versi. La Commedia è un grande racconto, in primo luogo, ed è un racconto schiettamente popolare, per quanto sostenuto da robustissima erudizione. A volersela cavare con una battuta, si potrebbe dire che la scelta del 'volgare' operata da Dante già anticipa la riforma liturgica introdotta più di sei secoli dopo dal Concilio Vaticano II, con le lingue nazionali che subentrano al latino nella celebrazione del rito. L’accostamento è meno arbitrario di quanto appare a prima vista, considerato che il precedente al quale il Papa più ampiamente si riferisce in Candor Lucis aeternae è un’altra lettera apostolica, Altissimi cantus, promulgata da Paolo VI nel 1965: in occasione del settimo centenario della nascita del poeta, certamente, ma anche in coincidenza con l’ultima fase dei lavori del Concilio ecumenico.

Non si tratta soltanto di confermare l’attenzione che, da Leone XIII in poi, i Papi hanno sistematicamente dedicato a Dante e che ha trovato espressione anche nel magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. In modo ancora più organico, il filo teso tra l’Altissimi cantus e la Candor Lucis aeternae (che si colloca, com’è noto, nel contesto del settimo centenario della morte di Dante) è il segno di una continuità tra Montini e Bergoglio, che si è manifestata spesso e che costituisce forse uno dei tratti più caratteristici dell’attuale Pontificato. Una continuità dantesca, se si considera che già nel 1965 Paolo VI proclamava il fine «primariamente pratico e trasformante» della Divina Commedia, come di un libro non da leggere solamente, appunto, ma da vivere. Ora, mentre continua una pandemia che per molti aspetti somiglia a «una selva oscura», Francesco saluta in Dante il testimone di una felicità «intesa sia come pienezza di vita nella storia sia come beatitudine eterna in Dio».

Lo fa seguendo le tracce della presenza femminile nel poema, e privilegiando il momento che – mediante la convocazione di Maria, Beatrice e Lucia – dà inizio al 'processo' della Commedia. E lo fa insistendo sulla «profonda sintonia» che lega Dante a Francesco d’Assisi. Le parole del suo capolavoro possono essere lette, commentate, studiate, analizzate, conclude il Papa. Da ultimo, però, quello che Dante veramente ci chiede è «di essere ascoltato ». Come ogni poeta, come ogni profeta.

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