mercoledì 21 gennaio 2009
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Caro Direttore, vorrei sentire il suo parere circa la situazione dell’Italia e dirle quello che penso io in merito. Premetto che per l’Italia ho sacrificato tutta la mia giovinezza e sono orgoglioso d’averlo fatto ( classe 1919: 5 anni di guerra). Oggi, mi scusi, quasi mi vergogno d’essere italiano e lei si rende quanto possa costare a me, triestino, una simile confessione. Sono amareggiato per come agisce il nostro Parlamento. Si diceva che la democrazia avrebbe rimediato ai danni della monarchia e a quelli del fascismo. L’inizio, impersonato da De Gasperi, è stato promettente, ma la situazione dopo di lui si è progressivamente deteriorata. Oggi tutto è degenerato. Il Parlamento ci ha fatto vedere perfino delle risse, deputati chiamati ' Cicciolina', ' Luxuria', privilegi a non finire. Anche di fronte alla crisi economica, nessuna disponibilità a ridimensionare le loro prebende faraoniche. La giustizia è anch’essa in situazione penosa: anche le cause più semplici rappresentano una sciagura per chi si trova coinvolto; bisogna aspettare 10 anni per una sentenza! Ultima situazione: Eluana. La magistratura ha deciso di avallare un’eutanasia, bloccata dalla rivolta. Spero che la posizione della Chiesa – curare senza remore e con amore – prevalga. La Chiesa è vita.

Vittorio Guido Cheni Trieste

Credo che a un giovane d’oggi sia quasi impossibile immaginare la sua giovinezza, caro Cheni. Sotto le armi dai 20 ai 25 anni, poi il ritorno in terra giuliana con la sua città presa di mira dal tentativo di annessione forzata da parte della Jugoslavia di Tito ( e con la compiacenza di Togliatti). Scongiurata questa eventualità, ma con la perdita di Istria e Dalmazia e col confine di Stato che lambisce la città –, lei ha vissuto gli anni della nascita dell’Italia democratica sotto la guida del più grande statista che il nostro Paese abbia avuto, Alcide De Gasperi. Alla tragedia immane della guerra è seguita una primavera piena di speranza, anche se non priva di difficoltà. Un giovane che aveva attraversato un decennio del genere era autorizzato a sperare che il suo Paese facesse tesoro del dolore e della sofferenza patite, per incamminarsi lungo un percorso di democrazia saggia, lungimirante, onesta, laboriosa. Ma così non è stato, o almeno lo è stato in misura non pari alle aspettative coltivate legittimamente da una generazione che tanto aveva patito per il proprio Paese. Essere virtuosi nei tempi duri pare sia un tantino più facile che esserlo in stagioni di vacche grasse. Le grandi idealità sono apparse risucchiate nella opacità di un costume che privilegia troppe volte il tornaconto di parte esibendo in più occasioni noncuranza per il bene comune. La crisi della giustizia che lei denuncia è uno degli aspetti che più colpiscono, forse perché coinvolge le tre caste più spesso sotto i riflettori: politici, magistrati, giornalisti. Noto che lei esprime un riconoscimento positivo per la Chiesa, di cui apprezza l’azione. Quel « la Chiesa è vita » è davvero un cammeo bellissimo, ma non può essere inteso come copertura, giustificazione all’inerzia rispetto a ciò che nella società va male. I suoi – pur vigorosi – 90 anni e i suoi trascorsi la esentano dal doversi ancora spendere per il suo Paese. Ma l’appello chiama direttamente in causa tanti giovani e adulti rimasti finora alla finestra.

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