venerdì 3 aprile 2009
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Si può valutare la sentenza della Corte Costi­tuzionale in merito alla legge sulla procrea­zione assistita in due modi: o per ciò che essa ef­fettivamente dice o per quello che si vorrebbe che essa avesse detto (ma non ha detto!) o che si vor­rebbe che potesse dire in futuro (e il futuro, si sa, è non solo sempre aperto, ma è anche impreve­dibile). Il primo modo è l’unico intellettualmen­te onesto e in grado di dare una corretta infor­mazione all’opinione pubblica; il secondo è i­deologia, nel senso più deteriore del termine. Quanto è cambiata la legge 40 dopo l’intervento della Corte? È cambiata pochissimo. Restano fer­mi tutti i suoi principi fondamentali: la tutela de­gli interessi del concepito in posizione non su­bordinata rispetto a quella di tutti gli altri soggetti coinvolti; il divieto di procreazione assistita a ca­rico di donne sole o dopo la morte del partner; la proibizione di pratiche eterologhe; il divieto di qualsiasi sperimentazione sugli embrioni, il divieto di distruggerli, clonarli, congelarli, sele­zionarli, manipolarli a fini eugenetici e di sele­zionarli quanto al loro sesso; la proibizione di ri­duzione embrionaria di gravidanze plurime. In che cosa è consistito allora l’intervento della Corte? Essa si è limitata a dichiarare incostitu­zionale il comma 3 dell’art. 14 della legge, accu­sandolo di non prevedere la subordinazione del trasferimento degli embrioni in utero a una ri­gorosa tutela della salute della donna e a rimuo­vere la conclusione del comma 2 del medesimo art. 14, sì da consentire (ipoteticamente) la for­mazione 'in vitro' di più di tre embrioni e sì da rimuovere (ma sempre ipoteticamente) il dove­re del medico di procedere 'ad unico e contem­poraneo impianto' nell’utero della donna degli embrioni creati in provetta. Si tratta di una sentenza rivoluzionaria? Per nul­la. Per quello che riguarda il comma 2 dell’art. 14 la Corte è stata persino ridondante: bastano le norme di buona pratica clinica e la più elemen­tare consapevolezza deontologica per farci con­cludere che la tutela della salute è sempre e co­munque un dovere primario del medico. Sotto questo profilo, comunque, se ridondanza c’è, è benvenuta, dato che i principi dell’etica medica meritano di essere ribaditi sempre e in ogni oc­casione. Per quel che concerne invece il 2° com­ma dell’art. 14, non è infondata la preoccupa­zione che i giudici della Corte abbiano 'abbas­sato la guardia' nella tutela dell’embrione, au­torizzandone una produzione eccessiva e la­sciandola comunque alla discrezione del medi­co. Ma resta pur fermo il divieto di congelamen­to e di distruzione degli embrioni. Dunque, sembra difficile ipotizzare che, anche dopo la sentenza della Corte, un medico possa produrre intenzionalmente in provetta un nu­mero di embrioni così alto da non poterne in al­cun modo prevedere l’impianto in utero, nem­meno col consenso della donna. Di necessità, chi così si comportasse, arriverebbe dolosamente a violare il primo comma dell’art. 14 (conferma­to dalla stessa Corte nella sua validità), quello che proibisce sia il congelamento sia la distru­zione degli embrioni. Bisogna riconoscere, che nella sua formulazio­ne linguistica, la sentenza della Corte non è un modello di chiarezza. Ciò non di meno, non so­lo è ben possibile, ma è doveroso interpretarla nel pieno rispetto dei principi bioetici, citati all’ini­zio, che sono stati posti e che restano a fonda­mento della legge. La Corte, per tutelare nel mo­do più rigoroso la salute della donna, ha voluto rimuovere quello che probabilmente le è appar­so un imbarazzante dovere fatto gravare sul me­dico dalla legge 40, il dovere, ove egli avesse pro­dotto tre embrioni in provetta, di attivare una pe­ricolosa gravidanza trigemina a carico della don­na, procedendo con 'un unico e contempora­neo impianto' a portare tutti e tre gli embrioni nell’utero materno. Non so se la Corte abbia ben valutato il fatto che l’ipotesi di attivare una gra­vidanza trigemina, se non era esclusa dalla leg­ge, non era nemmeno ritenuta da essa obbliga­toria! Ora, comunque, dopo il suo intervento, sappiamo che questa ipotesi è definitivamente cancellata dal testo della legge. Ma poiché non sono state cancellate le altre norme a tutela del­l’embrione, la conseguenza ora è che i medici dovranno ben guardarsi in futuro dal produrre più di due embrioni nell’ambito di una procedura di fecondazione assistita. Così vuole il buon senso e questa è l’unica con­clusione corretta che l’interprete può trarre da ciò che la Corte ha esplicitamente detto. Chi invece approfitta di ogni occasione per sovrapporre la propria ideologia alla realtà delle cose continuerà a farlo anche in questo caso. Deplorevolmente.
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