sabato 27 settembre 2014
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Luigi de Magistris «non ci vuole stare», diremmo se stessimo parlando di cose di bambini. Ma poiché qui si tratta non di capricci e di balocchi, bensì del rispetto delle leggi e delle sentenze, allora la questione non può essere liquidata con superficialità. Va detto che è al tempo stesso triste e gravissimo ascoltare un magistrato, nel frattempo divenuto sindaco di una delle città più importanti d’Italia, reagire a una sentenza di condanna nel modo in cui sta facendo lui. È triste e gravissimo vedere colui che si presentava come il pm 'tutto d’un pezzo', e si presenta tuttora come un paladino della legalità, cedere alla logica del «guarda caso» e del «vogliono farci cadere» (e poi perché «ci»? Chi sarebbero le altre vittime del complotto, anzi del «sistema criminale»?), scalciando contro non meglio identificati «pezzi di Stato» definiti «melassa putrida». Come se la sentenza contro l’attuale primo cittadino di Napoli – un anno e tre mesi di reclusione per abuso d’ufficio, con sospensione condizionale – non fosse stata pronunciata in piena indipendenza e autonomia dai giudici della decima sezione penale del Tribunale di Roma. Se ne deduce che de Magistris è un (ex) magistrato che non crede alla giustizia né all’autonomia e all’indipendenza dei giudici. Gravissimo, e triste. Le sue dichiarazioni – ha osservato l’Associazione nazionale magistrati, con accenti simili a quelli usati per rintuzzare, negli ultimi venti anni, le accuse piovute sulle toghe da Silvio Berlusconi – «esprimono disprezzo per la giurisdizione». Del resto, lo scarso riguardo per le regole della giurisdizione di cui faceva parte (perché i pm in Italia, grazie a un assetto che la stessa Anm difende con il coltello tra i denti, appartengono alla stessa categoria dei giudici) è alla base della condanna che lo ha colpito: l’acquisizione 'a strascico', senza autorizzazione delle Camere di appartenenza, dei tabulati telefonici relativi a diversi parlamentari è stata giudicata sanzionabile, contraria alla legge. Se poi ci sarà un verdetto d’appello che dirà l’opposto andrà rispettato, proprio come quello di primo grado. Non solo. Da ciò che egli stesso va dicendo, si evince anche che de Magistris è un sindaco che non crede alla politica e alle istituzioni, di cui adesso fa parte e nelle quali è riuscito a entrare trionfalmente grazie alla notorietà acquisita vestendo la toga da magistrato. Infatti, se le parole hanno un senso, dalle sue sembrerebbe che l’ex-ministro della Giustizia Paola Severino abbia 'escogitato' la legge sull’ineleggibilità – in base alla quale il sindaco di Napoli dovrebbe ora essere sospeso – per chissà quali inconfessabili fini. Perché mai, altrimenti, sottolineare che la stessa Severino è «guarda caso» avvocato di Romano Prodi, uno degli ex-parlamentari il cui traffico telefonico è stato acquisito da de Magistris e dal suo consulente Gioacchino Genchi nell’ambito dell’inchiesta 'Why not'? E perché aggiungere che «guarda caso» il processo si è svolto a Roma?Insomma, a sentire Giggino ’a manetta, come affettuosamente (o no?) è stato soprannominato nella sua Napoli, viviamo in un Paese ancora peggiore di quello che ogni giorno fa arrabbiare gli italiani. Tutti corrotti e marci.  Tranne lui, ovviamente, e forse pochi altri. E però è la stessa Italia in cui l’allora sostituto procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris istruì la citata inchiesta 'Why not' e altre due (denominate 'Poseidone' e 'Toghe lucane'), che anni dopo non hanno retto alla prova dei tribunali, concludendosi per lo più con provvedimenti di archiviazione, ma che nell’immediato ebbero effetti politici e istituzionali dirompenti: le dimissioni del ministro della Giustizia Clemente Mastella, nel gennaio 2008, seguite a strettissimo giro dalla caduta del secondo governo Prodi. Pochi mesi più tardi esplose la guerra tra le procure di Salerno e Catanzaro proprio intorno all’operato di de Magistris, nel frattempo censurato e trasferito a Napoli dal Csm: accuse e veleni tra magistrati, sequestri e contro-sequestri di atti, alla fine l’intervento del presidente della Repubblica (e del Csm), i trasferimenti e le sospensioni. Una vicenda mai vista nella storia repubblicana. Questo per dire che le azioni (anche quelle giudiziarie) producono sempre delle conseguenze. Le azioni di de Magistris hanno prodotto conseguenze che, comprensibilmente, non gli piacciono. Ma non sembra un motivo buono né tanto meno nobile, da uomo di legge e delle istituzioni, per ribellarsi alle leggi che le istituzioni si sono date. E che parlano chiaro.
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