Scelte sensate per scuole inclusive
lunedì 10 aprile 2017

Tra i decreti attuativi della legge sulla buona scuola approvati venerdì dal governo c’è anche quello relativo alla «promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità». Sono 233 mila gli studenti disabili che ogni mattina varcano le soglie delle scuole italiane, e a seguirli sono 137 mila insegnanti di sostegno. Cifre che fanno facilmente capire l’importanza, anche solo numerica, di una realtà scolastica che la politica non può permettersi di ignorare. Il decreto ora approvato presenta alcuni punti qualificanti di un nuovo approccio al tema dell’inclusione.

Si parla appunto di "inclusione", più che di "integrazione". Perché se quest’ultimo concetto si propone di intervenire sul singolo (il bambino o il ragazzo con particolari difficoltà), il primo – l’inclusione, appunto – mira a un intervento sistemico sul contesto scolastico. Si tratta, in altre parole, di uno sguardo più ampio, che si propone di sensibilizzare tutta la realtà scolastica, nella convinzione che i problemi possano trasformarsi in opportunità: accogliere un alunno disabile e includerlo a pieno titolo nella comunità scolastica significa anche, oltre che mettere in atto tutto ciò che è possibile per farlo star bene dove si trova, trasmettere ai suoi compagni un importante messaggio educativo di rispetto e di accoglienza.

Del resto è già da alcuni anni – precisamente dal 2012 – che il Ministero dell’Istruzione ha invitato il mondo della scuola a farsi carico non solo degli alunni con "disabilità", ma anche quelli con "difficoltà", i cosiddetti Bes, acronimo che sta a significare i «bisogni educativi speciali», legati per esempio al contesto sociale o alla provenienza etnica dello studente.Sono, questi, elementi qualificanti di una scuola autenticamente democratica. Se altri Paesi europei si sono orientati verso la soluzione delle "classi speciali", l’Italia, sin dagli anni Settanta del secolo scorso, ha puntato all’inserimento degli allievi disabili nelle classi ordinarie. Certo, quello per i docenti di sostegno è un capitolo di spesa non indifferente (ce n’è uno circa ogni due alunni disabili), ma si tratta di uno sforzo economico irrinunciabile, e che anzi andrebbe implementato per dare a ciascun alunno pieno diritto di cittadinanza nel contesto scolastico.Il decreto prevede dunque il coinvolgimento di tutti gli operatori della scuola, dai docenti al personale Ata, nel farsi carico degli alunni con bisogni speciali. Quando si parla di docenti, non ci si riferisce soltanto a quelli di sostegno: tutti gli insegnanti del consiglio di classe sono a pieno titolo parte in causa nel prendersi cura di questi ragazzi. Il testo di legge indica la strada di una formazione specifica per chi scelga di lavorare sul sostegno e, una volta assunto in questo settore, l’insegnante dovrà lavorarvi per almeno dieci anni: nel passato recente, entrare in ruolo sul sostegno è stato talora un modo per aggirare le lunghe graduatorie delle classi di concorso disciplinari, ma con l’obiettivo, di fatto, di chiedere appena possibile un "passaggio di cattedra" su una materia curricolare. La nuova norma sottolinea invece come il sostegno non va inteso come una scorciatoia.

Un punto qualificante presente in una bozza precedente del decreto era l’affermazione del diritto dello studente disabile ad avere lo stesso insegnante di sostegno per tutto il percorso scolastico: esso è scomparso nella versione definitiva, perché ciò sarebbe equivalso a bloccare la possibilità, per l’insegnante, di chiedere un eventuale trasferimento territoriale per un certo numero di anni; è rimasto tuttavia il blocco triennale sulla sede di assunzione attualmente già in vigore. Si tratta di due diritti entrambi legittimi, quello alla continuità didattica per lo studente e quello alla mobilità per il docente, ma in casi come questo crediamo che andrebbe sempre privilegiato il diritto del soggetto più debole.

Decisamente bene, invece, per quanto previsto a proposito della possibilità, per il dirigente scolastico, di rinominare lo stesso insegnante di sostegno precario anno dopo anno, prescindendo da eventuali aggiornamenti delle graduatorie, sempre al fine di garantire la continuità didattica. Un ultimo aspetto importante riguarda il numero degli alunni per classe, che «di norma» (così recita il testo) non dovrà essere superiore a ventidue. C’è da sperare che questo inciso non apra poi a troppe deroghe, poiché nelle cosiddette "classi pollaio" tutto si può fare tranne che un’inclusione reale ed efficace.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI