martedì 17 maggio 2022
L’«opzione preferenziale per i poveri» nasce da un’intuizione di padre Arrupe, e da Giovanni Paolo II i papi ne hanno ampliato il significato. Una lezione nella pandemia
Scegliere di stare con i fragili la guida di Francesco nella crisi
COMMENTA E CONDIVIDI

Nel libro del teologo nigeriano una lettura di come esercitare la «leadership» in tempi difficili In una lettera del 1968 indirizzata al suo ordine, il leader dei Gesuiti, Pedro Arrupe (1907-1971) ha inventato l’espressione “opzione per i poveri” per indicare la missione fondamentale della Compagnia di Gesù: mettersi al servizio della fede, promuovere la giustizia sociale e impegnarsi nell’azione politica in favore delle persone bisognose, emarginate e prive di potere. Con il passare del tempo, il concetto è stato accolto con entusiasmo nella tradizione della teologia della liberazione in America Latina, che ha aggiunto l’aggettivo “preferenziale” e lo ha applicato su ampia scala, con effetti controversi. Sebbene inizialmente l’idea avesse provocato vari dibattiti, poco per volta si è integrata nella tradizione cattolica dominante come uno degli sviluppi più importanti nell’ambito della Dottrina Sociale della Chiesa nel XX secolo.

Papa Giovanni Paolo II ha dato all’espressione maggiore visibilità, rendendola più accettabile e rispettabile quando l’ha usata nell’enciclica Centesimus annus (1991), che celebrava il centenario dell’enciclica di Leone XIII, la Rerum novarum (1891). Anche Wojtyla ha svolto infatti un ruolo importante nello sviluppo di questo concetto. In particolare, ha ampliato l’“opzione per i poveri” andando oltre la povertà materiale ed economica per includere altre forme: quella spirituale e culturale su tutte. Da allora i papi hanno adottato il principio dell’“opzione preferenziale per i poveri” e allargato il suo significato per tener conto di una più ampia categoria di persone relegate ai margini della società, come le vittime dell’ingiustizia ecologica.

Più recentemente, il concetto è comparso nelle encicliche e nelle lettere di papa Francesco, inteso come strumento ermeneutico per comprendere e interpretare l’interazione delle strutture sociali, economiche e politiche, valutandone le conseguenze e l’impatto sui più vulnerabili. In quanto paradigma teologico, questo principio afferma qualcosa di radicale e ardito: mette al primo posto la dignità, i bisogni e i diritti di emarginati, svantaggiati e vulnerabili e attribuisce loro lo stato di luogo privilegiato della rivelazione divina e della missione della Chiesa in favore della promozione della giustizia.

Agbonkhianmeghe Orobator.

Agbonkhianmeghe Orobator. - .

Questa affermazione, che è fondata su una rilettura radicale della vita, degli insegnamenti e delle azioni di Gesù di Nazareth, porta con sé due effetti. Innanzitutto, la vulnerabilità non è un tratto ereditario o un difetto patologico che dev’essere accettato con rassegnazione; le persone non scelgono di essere vulnerabili come una delle tante opzioni possibili, ma, al contrario, questa condizione è il risultato di un sistema complesso di strutture politiche e sociali nocive. Il concetto non è nemmeno un’opzione supererogatoria, ma un imperativo etico da cui dipendono altri principi come il bene comune, la solidarietà e la sussidiarietà. In pratica, quindi, è strettamente collegato alle qualità di compassione e misericordia affrontate nel precedente capitolo. (...)

L’ opzione preferenziale per i poveri e i vulnerabili è una qualità della leadership nei momenti di crisi, e in questo periodo, oltre al focus, è importante anche il locus scelto dal leader. Qual è la posizione della guida? Da che parte sta? In altri termini: che cosa significa “leadership” in tempi di crisi? L’esercizio e la pratica del ministero di consolazione sono componenti vitali della leadership in un periodo di crisi. Altri elementi essenziali di questo ufficio sono la vicinanza compassionevole, la solidarietà, la misericordia e una sincera affermazione di speranza. Anche dopo un’analisi più approfondita, il telos (scopo) di questo ufficio o ministero non risulta né vago né astratto: è chiaro che il desiderio di vicinanza e affetto di papa Francesco si è ampiamente concentrato sulle vittime del coronavirus, sulle loro famiglie e sugli operatori che lavorano in prima linea. In questo modo, il Pontefice ha fatto un’opzione preferenziale per i più vulnerabili e i più esposti, che rischiano di ammalarsi a causa della loro condizione o situazione sociale, economica e demografica. Se infatti il ministero della consolazione è esercitato e si esprime con vicinanza, affetto e solidarietà, la posizione del leader e le persone che decide di sostenere rivelano in modo affidabile quanto sia autentico il suo operato. (...)

Consideriamo la crisi provocata dal coronavirus: solitamente i poveri non viaggiano sugli aerei e non possono permettersi il lusso di fare una crociera, ma quando sono stati imposti lockdown, restrizioni e distanziamento sociale, queste misure hanno rivelato evidenti disparità tra gruppi finanziariamente sicuri e insicuri nelle società di tutto il mondo. I secondi sono stati più esposti al virus potenzialmente letale a causa di una prossimità fisica inevitabile sia in casa che nei luoghi di lavoro; non tutti hanno potuto usufruire del lusso dello smart working, dell’assistenza sanitaria a distanza e della scuola da remoto. In più, una pandemia come quella del Covid-19 si inserisce in un contesto in cui sono già presenti molte altre gravi crisi ed emergenze umanitarie. La compresenza di varie problematiche potrebbe effettivamente ridurre la percezione del rischio associato alla malattia e portare quindi a un minor rispetto delle norme sanitarie di prevenzione. (...)

La triste verità del Covid-19 è che le pandemie e le altre crisi fanno prosperare e accentuano le disuguaglianze sociali, le ingiustizie e le polarità già esi- stenti, soprattutto a discapito dei più fragili, dei più deboli e dei più indigenti della società. Priva del supporto socioeconomico e delle cure mediche di cui gode un’élite minoritaria, la maggior parte delle persone ha subito conseguenze molto serie. Le variabili fondamentali e i fattori decisivi che hanno determinato questa disparità sono il reddito, la posizione sociale, l’età e l’etnia. Durante il discorso Urbi et Orbi del 27 marzo 2020, papa Francesco ha sottolineato l’interconnessione vitale di tutta l’umanità di fronte a un comune pericolo. Per far arrivare meglio il suo messaggio ha usato la metafora di una nave nella tempesta in cui tutti gli occupanti sono presi dalla paura e dolorosamente consapevoli di condividere sentimenti come la fragilità, il senso di disorientamento e il bisogno di conforto reciproco. Fermo restando l’intento pedagogico e la proposta di un’immagine davvero appropriata, rimane il fatto che la probabilità di sopravvivenza è considerevolmente minore per le persone che occupano i gradini inferiori della scala socioeconomica, come per esempio i lavoratori sottopagati.

Non siamo tutti sulla stessa barca nello stesso modo, come afferma esplicitamente il Papa nella sua riflessione del 27 marzo: «Le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia». L’affermazione di papa Bergoglio sottolinea l’impossibilità di fingere indifferenza nei confronti del destino delle popolazioni più vulnerabili e meno privilegiate della comunità globale. Sia prima che dopo la pandemia, sono queste le persone a cui normalmente si fa vicino e con cui, addirittura, socializza. (...) L’atteggiamento di papa Bergoglio riguardo alla leadership dimostra l’imperativo etico di scegliere di stare con i poveri e i vulnerabili, specialmente in un periodo di crisi, con solidarietà, compassione e misericordia.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: