martedì 2 giugno 2009
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Si pensava, e si sperava, di non dover più leg­gere notizie del genere. Una delibera co­munale di Lugo di Romagna proibisce di por­re simboli religiosi sulle lapidi del camposan­to. Aggiunge che si può apporre soltanto il no­minativo, le date di nascita e di morte, ed e­sclude qualsiasi dedica o frase che evochino qualcosa del defunto. I caratteri delle scritte, inoltre, devono essere piccoli. Le motivazioni del provvedimento sarebbero peggiori dei di­vieti. Si vorrebbe evitare di urtare sensibilità religiose diverse dalla cattolica, tutelare la fun­zione del verde che dovrebbe prevalere sull’e­dificato, omogeneizzare la visuale riducendo tutto ai minimi termini. Pur nei limiti dell’evento – e delle frettolose precisazioni dell’amministrazione – c’è da rab­brividire. Perché in questo modo si viola la li­bertà dei cittadini, la loro sensibilità religiosa, si colpiscono sentimenti naturali per i defun­ti, che si esprimono da sempre (fin dai graffiti dei primi uomini) in gesti simbolici, parole di memoria, oggetti evocativi di natura religiosa e non. La più semplice libertà colpita è della disponibilità di uno spazio, dato pur sempre in concessione, per ricordare i familiari scom­parsi, accompagnarli con un pensiero, un sim­bolo di fede, che tiene vivo il rapporto tra la vi­ta e la morte, esprimere la pietà di fronte al­l’appuntamento ultimo della vita. Tutto ciò viene negato e umiliato da una bu­rocrazia cinica e senza cuore che vuole toglie­re alla morte ogni identità, privarla delle ma­nifestazioni di dolore e di affetto, ridurre colo­ro che sono scomparsi a piccole scritte tutte e­guali, come se il ricordo della loro individua­lità offenda una società che non ne vuole più sentir parlare, vuole trattarli come semplici nu­meri, dei quali alla fine si perde memoria de­finitiva. Ma questa burocrazia è anche provin­ciale e ignara, chiusa alla realtà che si conosce in tutto il mondo. Dovunque, i cimiteri riflet­tono la cultura, la religione, le tradizioni, dei po­poli, e dei singoli individui, ed hanno per que­sto una particolare identità, in molti casi un valore storico-artistico ineguagliabile. Si può andare a Tokyo e a Mosca, in Giordania e in In­dia, a Pretoria e a Buenos Aires, dovunque si troveranno emblemi religiosi, nazionali, cul­turali, che riflettono la memoria dei singoli de­funti, e le tradizioni di un popolo nelle strati­ficazioni della sua storia. Il vero obiettivo della delibera di Lugo è quel­lo di eliminare la simbologia religiosa, con la scusa di non urtare la sensibilità dei non cat­tolici. Si tratta di una scusa non veritiera, per­ché il cristiano che vede accanto alla croce la stella di David si inchina con un senso di fede e di rispetto, e altrettanto fa di fronte ai segni di altre religioni. Anche ebrei, musulmani, buddisti, si fermano e comprendono i segni del cristianesimo, e di altre fedi, perché tutti insieme esprimono una grande cosa comu­ne, la fiducia in un Dio misericordioso che proprio nella morte costituisce la speranza più profonda per l’essere che viene meno e per coloro che restano. In realtà, è inutile girarci attorno, si vogliono scalzare le croci dai luoghi dove riposano i de­funti. E lo si fa quasi vergognandosene, citan­do il verde, l’omogeneità ambientale e la pic­colezze delle scritte, tutte cose che non hanno nulla a che vedere con l’argomento. Se in pas­sato fosse prevalsa una visione burocratica co­sì fredda, non avremmo, in Italia e nel mondo, i grandi monumenti artistici come le cattedrali, sinagoghe, pagode, moschee, che si fondano sulla fede, sulla creatività dell’uomo, anche sul­la sua fantasia, che creano cultura, arte, storia. Non si possono ridurre i nostri camposanti in loculi a schiera, anonimi, dove a mala pena si leggeranno i nomi (e si confonderanno gli o­monimi), perché così avremmo la prefigura­zione di una società triste, cupa, che fa paura. C’è da augurarsi che, come accaduto altre vol­te, la delibera di Lugo Romagna non abbia se­guito, non si debba mai più tornare su un ar­gomento del genere, e venga rispettata nel suo nucleo più intimo quella libertà dell’uomo che è anche libertà di esprimere i propri sentimenti di fede e di speranza di fronte alla morte, di es­sere veramente se stessi nei momenti più dif­ficili e alti dell’esistenza. Il raccoglimento di fronte alle piccole e grandi stele funerarie fa parte della vita quotidiana di ciascuno di noi, e riflette il livello di cultura e di religiosità di u­na collettività, non dovrebbe essere permesso a nessuno di invadere, o attentare, momenti che appartengono all’interiorità dell’anima.
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