venerdì 4 gennaio 2013
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Chi non si ribella, è complice. Un applauso dunque al ribelle Massimo Ambrosini che ieri a Busto Arsizio, all’ennesimo ululato contro i calciatori neri dell’ennesimo sparuto manipolo di razzisti, ha detto basta, l’amichevole Pro Patria-Milan poteva finire lì, e ha invitato i compagni a uscire dal campo, perché far finta di niente sarebbe stata complicità di fatto.
Bravo, dunque. Purché questo sia un punto di non ritorno e d’ora in poi si dica «io non gioco più» anche in campionato e perfino a San Siro, contro gli interessi della tv e degli sponsor. Nessuno pretende che i giocatori del Milan scendano in campo col nerofumo in faccia, come provocatoriamente fecero quelli del Treviso una dozzina d’anni fa. Ma che l’eccezione di Busto diventi una regola, sì. Una regola dell’intera società che si ribella all’inerzia e all’impunità, che non vuol essere complice silente.
Ad esempio oggi, sul nostro giornale, un lettore trentino denuncia la maleducazione di troppi giovanotti, che in autobus non cedono posto ad anziani e donne incinte, dileggiandoli. Il guidatore si fermi e non riparta più; i passeggeri invitino il guidatore a fermarsi. Come il capitano del Milan, che ieri ha festeggiato il 2013 togliendo il tappo all’indifferenza.​
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