martedì 7 luglio 2009
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Caro Direttore,quando il governo italiano ha deciso di inviare truppe in Iraq o in Afganistan o altrove in molti abbiamo espresso perplessità e anche disaccordo. Ma poi cosa è successo? Ci siamo fermati. Non abbiamo avuto il coraggio di invitare i militari all’obiezione di coscienza (vedi don Lorenzo Milani). Non abbiamo avuto il coraggio di dire ai giovani che, per mancanza di lavoro, si arruolavano, che li avremmo appoggiati a trovare un lavoro. In una parola non siamo stati credibili. Non abbiamo detto che noi Chiesa non avremmo inviato cappellani militari e seppure abbiamo proclamato che il nostro Dio è il Dio della vita, il Dio che non uccide, ma che preferisce lasciarsi uccidere. Non abbiamo detto: o cristiano o militare, con la coscienza che non avremmo fatto nulla di nuovo perché così pensavano e agivano i primi cristiani. Non ci siamo messi in cammino come Francesco d’Assisi che, non è riuscito a fermare le crociate, ma è andato dal sultano d’Egitto e ha parlato d’amore. E a chi consigliava il sultano ad uccidere Francesco rispondeva: ma come posso uccidere un uomo che mi ama? Ancora una volta non ho capito i titoli di Avvenire, il nostro giornale, che di fronte all’approvazione del Decreto si limita a riportare la posizione del Vaticano dicendo che la Cei appoggia. Ma è troppo facile appoggiare le decisioni degli altri così si ha sempre la scappatoia di non impegnarsi in prima persona. Mi domando come potremo celebrare l’Eucaristica e leggere il Vangelo del ritorno di Gesù a Nazaret, di quel Gesù che splendidamente rimane libero e va oltre. Non chiedo a nessuno di sottoscrivere questa o quella opinione, ma chiedo che il nostro giornale dia spazio alle diverse voci, alle diverse opinioni, in quel sano pluralismo che manifesta il Dio che non ha inventato le monocolture ma le foreste. Non c’è posto nel cuore del cristiano, il discepolo di Gesù, per pessimismi e per risentimenti. Ma ci deve essere posto e tanto per raccontare il sogno di Dio. Il teologo sudafricano Albert Nolan, nel bel libro 'Cristiani si diventa' (Emi, Bologna) a pag. 41 scrive: «Mi sembra che ora ci sia la possibilità reale che il formidabile impero di oggi sia l’ultimo dei grandi imperi e che se ne andrà velocemente, come ha fatto il regime dell’apartheid in Sudafrica». «Voi siete una lettera di Cristo…» (2Cor 3,3). Ci auguriamo che in questa lettera che tutti sono chiamati a leggere, tutti vi trovino buone notizie… e ci auguriamo di avere il coraggio di parlarne tra di noi. Con fiducia grande.

p. Ottavio Raimondomissionario comboniano - Pesaro

Temo un po’, caro padre Ottavio, le scomuniche abusive, le condanne che scaturiscono dalla pretesa di essere noi soli detentori della profezia ecclesiale. Un genere letterario che in queste settimane ha imperversato, nella noncuranza per la buona fede di chi veniva considerato antagonista del proprio modo di vedere. Talvolta la sfrontatezza è arrivata a insinuare volgarità e usare termini offensivi anche contro i vescovi, che certo non si sottraggono alle critiche ma che mai hanno dato pretesto alla maleducazione. Il suo attaccamento alla Chiesa – e, nel nostro piccolo, al giornale – è quindi un viatico prezioso per un dialogo sincero e proficuo. Vedo che vorrebbe ingaggiarmi in una critica generalizzata alla realtà militare. Da antico obiettore di coscienza non posso che sentirmi solidale con chi agisce concretamente per far progredire la pace, anche se il «pacifismo» è zavorrato di incongruenze che lo squalificano – semplificando: si mobilita solo contro Usa e Israele, mentre rimane praticamente inerte e silente nei confronti di Iran, Corea del Nord, Myanmar, Sudan, Cina... –. Non posso però non ricordare, in parallelo con la sua citazione liturgica, che la preghiera ripetuta in ogni celebrazione prima della distribuzione dell’Eucaristia («O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa...») è tratta dal Vangelo di Matteo (8,8) dove a pronunciarla è un centurione romano, che diventa esempio di fede, senza che il Signore gli chieda di cambiare mestiere. Può valere anche per noi il riferimento? Vengo poi al suo appello riguardo all’atteggiamento del giornale sulla legge in materia di sicurezza. Se ci ha seguito anche in questi ultimissimi giorni, successivi all’invio della sua email, avrà potuto constatare che il suo auspicio ha trovato ampio riscontro nelle nostre pagine. In tema di immigrazione non abbiamo mai accettato di considerare l’accoglienza come antagonista di sicurezza e legalità. Su questa linea ci siamo mantenuti, riconoscendo le esigenze legittime di sicurezza di tanti nostri concittadini, ma segnalando le misure che trasformavano la risposta «legale» in prevaricazioni e lesioni della dignità. Queste abbiamo denunciato, raccogliendo le voci che le documentavano. Continueremo così, senza censure o pregiudizi ideologici, aperti a ogni considerazione ragionevole, chiusi solo al linguaggio offensivo e al malanimo. Un caro saluto.

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