giovedì 31 marzo 2011
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Sì, questa è la stagione in cui per i cattolici è ancor più importante rendere visibile e tangibile la "cultura della vita". Una cultura che come cittadini italiani sappiamo di condividere con tanti non credenti, dentro e fuori le aule del Parlamento, nelle corsie degli ospedali come nelle aule scolastiche, nelle stanze dei tribunali e delle università, nelle famiglie come nelle associazioni e nei movimenti, nelle parrocchie e negli oratori come nei circoli, nei media tradizionali come nella rete, nei gruppi di amici e nelle più diverse articolazioni di questa nostra società complessa e postmoderna.Una "cultura della vita" che può e deve ispirare – e accompagnare – i passi decisivi della legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) all’esame del Parlamento italiano. Una legge «necessaria e urgente» come ci ha ricordato il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. Una legge che si rende «necessaria» se, da cittadini consapevoli, ci lasciamo guidare da quel sano principio di realtà che non dimentica quanto è accaduto solo due anni fa in questo Paese: a una persona indifesa furono sottratti acqua e cibo, in forza della sentenza creativa e intrusiva costruita da taluni magistrati. Dimenticare questa drammatica circostanza, o considerarla secondaria, questo sì che sarebbe colpevole agli occhi dei cittadini più avvertiti del valore di ogni singola vita, della sua insostituibilità e non replicabilità.Ecco perché, nel considerare «urgente» una legge che ponga dei limiti a ogni tipo di scorciatoia eutanasica, il pensiero va allo stesso significato del concetto di democrazia, come strumento dei "moderni" per rappresentare tutti e garantire e tutelare i più deboli. Quando si fa osservare che ai credenti questa legge non aggiunge nulla, perché i credenti difficilmente farebbero ricorso allo strumento delle Dat, se non in funzione positiva, si dimentica che ciascun cittadino ha una responsabilità che travalica il proprio particolare. È questa responsabilità che spinge i credenti anche a servirsi di una legge che "cattolica" non è, per tutelare gli interessi dei più deboli che a tutti debbono stare sommamente a cuore. Questa legge, infatti, risponde a un forte principio solidaristico, anche nella prospettiva di uno sviluppo sociale che vedrà crescere, a dismisura, la popolazione degli anziani. Uomini e donne che sempre più spesso si troveranno purtroppo a dover affrontare il "transito" in solitudine, a causa dell’espandersi delle famiglie mononucleari e dell’assottigliarsi e indebolirsi dei vincoli parentali. Per loro, forte sarà il rischio sia dell’abbandono terapeutico sia dell’accanimento. Di tutto questo un legislatore accorto può e deve farsi carico, proprio nello spirito dell’«alleanza di cura» che si fa espressione tangibile della scelta solidaristica scolpita a chiare lettere nella nostra Costituzione repubblicana.Una legge "buona e giusta" quella sulle Dat? Si è lavorato al Senato e si sta lavorando alla Camera perché sia così. Ricordiamoci, però, che ogni legge è sottoposta al vaglio delle maggioranze – a volte trasversali, come in questo caso, e comunque transitorie in un regime di alternanza politica. E per tutte le maggioranze, presenti e future, dovrebbe valere il criterio di garantire, a ogni singola legge, una volta approvata, un periodo di rodaggio. È civile e necessario, insomma, che a queste disposizioni non venga riservato il trattamento ostile e la propaganda deformante già riservati, ad esempio, alla legge 40 sulla fecondazione artificiale, altra normativa "non cattolica" ma accettata dai credenti per chiudere l’era di "provetta selvaggia". Abbiamo già visto una parte dell’opinione pubblica, più ideologizzata e meno disponibile ad accettare il voto (trasversale, torniamo a ricordarlo) di un libero Parlamento, allearsi con una frazione della magistratura per tentare di demolire o, comunque, manomettere la legge sin dal giorno seguente la sua entrata in vigore.Chi come noi alimenta con la ragione e le opere la "cultura della vita", sa di dover innanzitutto agire nella società per diffonderla in modo credibile e convincente. E questo facciamo, senza progettare scorciatoie ed elitarie manovre di potere e di (dis)informazione per far prevalere il nostro punto di vista. Parliamo chiaro e accettiamo il confronto a viso aperto nello spazio pubblico, forti delle nostre ragioni e della richiesta di non cancellare le voci nostre e di malati e disabili. Magari, per qualcuno, politicamente scorrette e scomode.
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