sabato 11 luglio 2020
Geraci del gruppo 'Il Guado' contesta ragionamenti e lessico di un commento di prima pagina citando la nota della Presidenza Cei sulla cosiddetta pdl Zan. La replica garbata e soda del filosofo
«Omofobia, termini che ci offendono». Realtà e studio, non paradigmi
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Gentile direttore,
nella lettera che la Presidenza della Cei ha reso pubblica lo scorso 10 giugno a proposito dell’ipotesi di legiferare contro l’omotransfobia (la cosiddetta pdl Zan) si legge tra l’altro: «Crediamo fermamente che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto». Mi chiedo se il professor Francesco D’Agostino abbia letto queste parole e se le abbia davvero capite, perché associare l’omosessualità e la transessualità a una 'parafilia' – che per inciso «indica pulsioni erotiche connotate da fantasie o impulsi intensi e ricorrenti, che implicano attività o situazioni specifiche che riguardino oggetti o animali, che comportino sofferenza e/o umiliazione, o che siano rivolte verso soggetti impuberi e/o persone non consenzienti» – si traduce in un’offesa gratuita a milioni di omosessuali e di transessuali. Se si vuole seguire la raccomandazione della Presidenza Cei che invita a intraprendere azioni preventive per «scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona », al di là delle opinioni che si hanno, si deve usare un linguaggio completamente diverso. Nella speranza che questa lettera venga pubblicata la saluto cordialmente e la ringrazio per la scelta che il suo quotidiano ha fatto di dar vita, sul cosiddetto ddl contro l’omotransfobia, a un dibattito ricco in un clima sereno e rispettoso. Ed è davvero un peccato che l’incompetenza di un vostro opinionista comprometta questo clima per motivi che faccio davvero fatica a comprendere. La saluto cordialmente.

Gianni Geraci, Il Guado, gruppo di riflessione e di approfondimento su Fede e omosessualità Milano

Gentile signor Geraci,

le rispondo su invito del direttore e prendo atto che il termine 'parafilia' che ho usato nell’editoriale pubblicato da 'Avvenire' il 7 luglio accanto ai termini 'omosessualità' e 'transessualità' (ma non a proposito di essi) ha avuto per lei la valenza di una «offesa gratuita a milioni di omosessuali e di transessuali». Commentavo, per la seconda volta dopo un altro editoriale messo in pagina il 17 giugno scorso, gli esiti possibili, negativi e forse involontari dell’ipotesi normativa in tema di omotransfobia. E spero che lei voglia credere che non intendevo offendere nessuno: ho usato questo termine a proposito di orientamenti sessuali 'diversi' – nel mio editoriale 'parafilia' era collegato al travestitismo – perché ci consente, non avendo una specifica caratterizzazione etica, di non utilizzare più l’espressione 'perversione' (questa sì carica di problemi). La realtà, come ho cercato sommariamente di dire nel mio testo, è che siamo purtroppo ancora molto lontani dal mettere a fuoco un’antropologia sessuale, teoreticamente rigorosa, che renda ragione di questa dimensione dell’identità umana. Il linguaggio stesso non ci aiuta: la stessa definizione di 'parafilia' che lei ci propone è tutt’altro che pacifica e potrebbe impegnarci in accanite e interminabili discussioni. Ripeto: la varietà dei comportamenti sessuali umani è tale che chiunque pretenda di oggettivarli usando paradigmi suggestivi, ma anche antiquati e stantii (ricorrendo ad esempio alla categoria metafisica della 'natura', o a quella biologica della 'malattia' fisica o psichica, o a quella psicoanalitica del condizionamento edipico, etc.), non riesce, oggi come oggi, ad arrivare da nessuna parte. Meglio ribadire la necessità di studiare, studiare, studiare l’identità umana, nella speranza di allargare sempre di più il nostro orizzonte conoscitivo e morale. Quanto all’accenno che lei fa alla mia «incompetenza», lo prendo come un opportuno invito a non illudermi sulle mie capacità teoretiche. Vorrei, però, ricordarle che i miei studi di antropologia sono iniziati tanti e tanti anni fa e che hanno trovato una loro sintesi in due volumi: 'Sessualità', (Giappichelli, Torino 2014) e 'Famiglia, Matrimonio e Sessualità' (Pagine editrice, Roma 2016). Da allora ho continuato a lavorare indefessamente sul tema, con articoli di carattere scientifico, relazioni congressuali, note e recensioni. Critichi pure le mie idee, ma trovi argomenti più pungenti di quello dell’«incompetenza». Ricambio, personalmente e a nome del direttore, il suo cordiale saluto.

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