martedì 27 marzo 2012
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Non tradiamoli. Loro, i giovani. Li frequentiamo. Abbiamo condiviso il loro entusiasmo, assaporato il gusto amaro della loro rabbia, apprezzato il loro modo di ragionare, partecipato ai loro patimenti. Non sono né il paternalismo né l’ingenuità a farci dire: loro, i giovani italiani, «sono in grado di dare la spinta decisiva al cambio di passo del nostro Paese». Non sono semplicemente la «speranza del domani», come spesso può dire chi, anche se mosso dalle migliori intenzioni, non sa sfuggire alla retorica più banale. Essi sono il presente, non soltanto il domani. Sono il qui e ora, non l’altrove chissà quando. E proprio per questo «non si possono tradire».Così ha detto ieri il cardinale Bagnasco in uno dei passaggi centrali della prolusione che ha aperto i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Parole nette, perché saggiamente prive di sfumature di troppo. «Siamo profondamente persuasi che...», è stato l’incipit del presidente della Cei. E il «tradimento»? Se Bagnasco ritiene necessario evocarlo, è perché il rischio è reale e pressante. I giovani stessi, annota il cardinale, «sono i primi a intuire che questo Paese non si ama a sufficienza, quando avvertono che non vengono prese sul serio le generazioni con maggiore spinta innovativa». E allora sì, i giovani non avrebbero torto a sentirsi traditi da alcuni adulti. Sono gli adulti che non trovano mai risorse da investire sui giovani perché le priorità sono sempre altre, e le garanzie (a cominciare da quelle sul lavoro) sono state sinora e sempre più stancamente solo di altri. Adulti che dipingono i giovani con una tinta sola, quella dei fannulloni bevuti e fumati, incapaci di assumersi responsabilità: un’immagine ingiusta che abbiamo criticato, denunciato, perfino irriso nella sua insensatezza, ma che ritorna con stolida insistenza, buona solo a consolidare i pregiudizi più grossolani e ottusi. La verità è purtroppo che ci sono troppi adulti che continuano a testimoniare l’esatto contrario di quanto ieri il cardinale affermava senza sottintesi: «I veri vittoriosi sono i galantuomini, non i vincenti con l’imbroglio».Guai grossi se i giovani si sentissero traditi anche dalla comunità ecclesiale. Qui, i giovani devono essere certi di poter contare su uno dei luoghi in cui affinare la «formazione completa», la formazione integrale umana, l’unica che affiancata da una solida formazione scolastica e professionale garantisce gli strumenti concreti per il «cambio di passo» da dare al Paese. Se ciò è vero, occorre che la comunità ecclesiale per prima si liberi di ogni residua tentazione retorica: i giovani «sono indispensabili oggi, non solo domani» già nella Chiesa, e la Chiesa – questo nuovo intervento del presidente della Cei lo sottolinea – sa di dover dare ancora una volta l’esempio: i giovani non sono semplicemente soggetti da sottoporre a formazione infinita, ma persone a cui offrire sfide e impegni seri e, quindi, a ragion veduta, affidare compiti e responsabilità.Alla responsabilità i giovani sono chiamati pure in politica, nel lavoro a servizio di quartieri, paesi e città nelle amministrazioni. E per «rinnovare i partiti» – sono sempre parole di Bagnasco – impresa impossibile se non fondata anche su valori saldi (quelli che non si svalutano e non si svendono mai) ed energie nuove e, appunto, giovani. Sono gli stessi giovani che aspirano a una famiglia anche perché la vedono indebolirsi e ne soffrono; giovani che amano la loro comunità nonostante essa non sempre sappia corrispondere al loro amore e da questa si sentano giudicati in modo sommario. Il cardinal Bagnasco, ieri, non si è limitato a parlare di questi giovani. Ci ha ricordato che si può e non si deve lasciarli soli. E li ha abbracciati. Invitando ciascuno di noi a fare altrettanto.
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