Non un obbligo ma un'occasione da cogliere per i lavoratori poveri
mercoledì 8 giugno 2022

La Direttiva Ue sul salario minimo oltre le polemiche e gli scontri ideologici Il minimo che si possa pretendere sul tema del salario minimo è che non diventi l’ennesimo terreno di scontro ideologico tra fazioni. E che così la questione di come contrastare il lavoro povero e sottopagato finisca per impantanarsi in un’infinita polemica parolaia o in uno sterile braccio di ferro in Parlamento. Le bacchette magiche non funzionano e l’Unione Europea lo sa bene, tanto da evitare non solo di proporre una retribuzione minima comune – impossibile stanti le enormi differenze fra i 27 Paesi – ma non imponendo neppure uno strumento unico per raggiungere l’obiettivo.

La bozza di Direttiva su cui l’altra notte si è raggiunto l’accordo tra Commissione, Parlamento e Consiglio, infatti, si limita a indicare il problema della povertà lavorativa, a fissare parametri oggettivi per la misurazione dell’adeguatezza relativa dei livelli minimi (non inferiori al 60% del salario mediano) e a sollecitare un impegno affinché i salari minimi siano appunto «adeguati ed equi». In alcuni Paesi questo risultato può essere raggiunto attraverso una legge che fissa i livelli salariali minimi e preveda meccanismi per il loro aggiornamento. In altri, è la contrattazione tra le parti sociali a fissare i minimi (e non solo) nei contratti collettivi. E in altri ancora, come da quasi un decennio in Germania, funziona il mix dei due strumenti: contrattazione e legge sui minimi.

Da noi la contrattazione collettiva assicura una buona copertura all’85-90% circa dei lavoratori, superiore a quell’80% indicato come soglia critica dall’Unione Europea. Dunque, non c’è una necessità 'stringente' di adottare una norma che introduca uno specifico salario minimo. Tuttavia, la Direttiva europea offre un’opportunità importante per non lasciare scoperto quel 10-15% di lavoratori che non ha (ancora) un Ccnl o se ne vede applicato uno di facciata, cosiddetto 'pirata', che non lo tutela adeguatamente. Come? Il Movimento 5 stelle preme per una legge che fissi a 9 euro l’ora la soglia minima, e può essere una strada. Ma assai più efficace è la via indicata prioritariamente dalla Direttiva Ue: il rafforzamento della contrattazione collettiva che stabilisce non solo i minimi (oggi ben al di sopra dei 9 euro l’ora nella quasi totalità dei settori), ma tutti gli aspetti della prestazione e della remunerazione dei lavoratori, nasce dal rapporto diretto imprenditori- lavoratori ed è perciò sempre da preferire.

Per estendere la copertura contrattuale, oltre a promuovere nuovi accordi nei settori che ne sono privi, una via possibile è quella di dare forza di legge ai contratti, estendendo erga omnes, cioè a tutti i lavoratori di un dato segmento, i livelli minimi salariali previsti. Occorre però stabilire quali criteri di rappresentanza datoriale e sindacale rendano quel contratto degno d’avere forza di legge. La maniera più diretta (e auspicabile) sarebbe quella di approvare contestualmente al recepimento della Direttiva europea anche una legge sulla rappresentanza sindacale che, sul modello di quanto già avviene nel Pubblico impiego, 'pesi' le singole organizzazioni e dia valore solo ai contratti firmati da quelle che rappresentano la maggioranza relativa di imprese e di lavoratori. L’alternativa – stante la riluttanza di una parte dei sindacati e di gran parte degli imprenditori a misurare la propria rappresentatività – è quella di prendere a riferimento il Trattamento economico complessivo (minimi orari più ferie, tredicesima, ecc.) dei contratti di settore firmati dalle organizzazioni «comparativamente più rappresentative» con un criterio sostanzialmente presuntivo.

E questa sarebbe la strada verso cui vorrebbero incamminarsi il ministro del lavoro Orlando e il Pd. Un’ulteriore ipotesi suggerita è quella di privilegiare sempre la contrattazione, ma sperimentare un salario minimo fissato per legge in alcuni segmenti particolarmente deboli del mercato del lavoro e osservarne gli effetti nel tempo. Comunque sia, che si scelga il salario minimo per legge o di rafforzare la contrattazione, il cammino verso retribuzioni «adeguate ed eque» non sarà né breve né semplice. Perché il lavoro povero non è determinato solo dalla soglia inferiore delle paghe orarie, ma da fattori come le poche ore lavorate, la precarietà di alcune forme contrattuali e il lavoro nero.

Così come sull’entità dei salari – particolarmente bassa nel nostro Paese anche a livelli medi – influiscono molti fattori economici tra cui la crescita stagnante, la scarsa produttività e l’ampio cuneo fiscale. Nodi complessi che una singola Direttiva non basta a sciogliere, ma che vanno affrontati con impegno, competenza e spirito di servizio. Perché al 24% dei lavoratori che guadagna troppo poco, a quel 10% che è addirittura in povertà, non si può continuare a rispondere solo a forza di slogan e scontri ideologici.

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