Non si può sporcare così l'azione di un uomo onesto
martedì 8 giugno 2021

La Calcestruzzi Ericina è uno dei rarissimi casi di azienda confiscata ai mafiosi ancora in attività. Anzi, è diventata un simbolo di riscatto. Protagonista principale di questa bella storia è l’amministratore giudiziario, il commercialista Luigi Miserendino, che non soltanto l’ha difesa dai tentativi dei mafiosi di farla fallire per poi rientrarne in possesso, ma ha anche dovuto combattere contro gli ostacoli posti da esponenti politici locali e nazionali, sostenuto in questa dura battaglia dall’allora prefetto, Fulvio Sodano e dal capo della Squadra mobile, Peppe Linares.

Così ha promosso e sostenuto la nascita della cooperativa 'Calcestruzzi Ericina Libera' costituita dagli stessi operai dell’azienda che era stata tolta al boss Vincenzo Virga, capo mandamento di Trapani, condannato a vari ergastoli. E gli operai lo hanno voluto come presidente, proprio per la fiducia che hanno sempre avuto nei suoi confronti. All’ingresso dell’impianto c’è la grande scritta 'Insieme si può'. Ed è proprio così. La 'Calcestruzzi Ericina Libera' è un esempio di azienda pulita, efficiente e innovativa, che non solo produce il calcestruzzo, ma ricicla gli inerti con un impianto d’avanguardia, tra i pochissimi al Sud. Da riciclaggio dei soldi mafiosi a riciclaggio pulito. Insomma, Miserendino è un vero esempio positivo di 'servitore dello Stato'. E ha salvato e rilanciato anche altre aziende confiscate che gli erano state affidate. Ma il 3 ottobre 2017, come un fulmine a ciel sereno, la procura di Palermo ne ordina l’arresto, con l’accusa gravissima di aver favorito un imprenditore del quale gestiva i beni confiscati. Giovedì scorso la Corte d’Appello di Palermo lo ha assolto «perché il fatto non sussiste».

E così ha confermato l’assoluzione in primo grado, del 2 marzo 2020. In appello le stessa Procura generale ne aveva chiesto l’assoluzione, smentendo la tesi accusatoria della Procura della Repubblica. Ora, quasi certamente, non presenterà ricorso in Cassazione, e quindi l’assoluzione di Miserendino può dirsi definitiva. Una vicenda molto simile a quella della sindaca coraggiosa di Isola di Capo Rizzuto, Carolina Girasole, con magistrati che si 'innamorano' di una tesi e la portano avanti fino in fondo, trascurando o nascondendo documenti, o interpretandoli secondo la propria convenienza. Addirittura ignorando quelli che dimostravano l’esatto contrario dell’accusa. Miserendino era stato accusato di essere complice dell’imprenditore Ferdico dei cui beni era, appunto, amministratore giudiziario. In particolare non avrebbe riferito le irregolarità che aveva trovato e i tentativi dell’imprenditore di riprendersi i beni. Non è vero. Perché aveva inviato al Tribunale varie relazioni, una delle quali aveva addirittura portato al sequestro di una villa dell’imprenditore.

E questi atti li conoscevano sia il Tribunale sia la Procura, ma quest’ultima li ignorò al momento di accusare Miserendino. Davvero incredibile, come ha sottolineato già il Tribunale di primo grado. «Tanto sarebbe bastato per allontanare dal Miserendino i sospetti di favoreggiamento ». Invece scattarono le manette. E lui, ora, sul suo profilo facebook, commenta. «Tante cose non sono andate come dovevano in questa vicenda». C’è tanta delusione nelle sue parole. «I soggetti istituzionali con cui avevo collaborato lealmente per oltre 20 anni mi hanno arrestato accusandomi di tradimento della funzione di pubblico ufficiale; soggetti per i quali sarei stato disposto a mettere anche la mano sul fuoco in fatto di lealtà, di correttezza, obiettività e serietà di valutazione e giudizio; istituzioni cui avevo dedicato tutta la mia attività professionale come una missione.

Invece è accaduto ciò che non avevo mai messo nel conto, di essere vilipeso da questi soggetti che avrebbero dovuto, nella mia errata convinzione, guardarmi le spalle e proteggermi dalle insidie». E conclude con grande dignità. «Tutto questo mi ha profondamente colpito e segnato per sempre; sono diventato una persona diversa, ho iniziato una nuova vita con punti di vista più equilibrati e consapevole che l’errore spesso si annida proprio dove pensiamo che non ci possa essere. Non sacro fuoco di giustiziere che rischia di lasciare solo cenere e macerie, ma giusta invocazione e applicazione del diritto e delle garanzie costituzionali». È un’altra vicenda per la quale non pochi dovrebbero chiedere scusa e devono vergognarsi per un’accusa portata avanti senza precisi e reali riscontri. E non si tratta solo di chi ha male indagato.

Dovrebbe chiedere scusa e riflettere anche quella parte del mondo dell’antimafia e del giornalismo che ha precipitosamente scaricato un uomo considerato fino a un attimo prima un 'eroe'. Si è fatto il gioco di chi voleva comunque 'eliminare' una persona scomoda. Nella Sicilia del terzo millennio si uccide anche così.

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