Ma la minaccia nucleare è anche sempre ambientale
martedì 9 novembre 2021

Le misure previste per fronteggiare le conseguenze del cambiamento climatico e della crisi ambientale, su cui si sono incentrati il vertice G20 di Roma e la Conferenza sui cambiamenti climatici Cop26, avrebbero poco senso se permanesse inalterato o si dovesse aggravare il già alto rischio di un conflitto nucleare. In tal caso gli allarmanti scenari ambientali previsti dagli scienziati per i prossimi decenni si verificherebbero immediatamente e con un impatto ambientale esponenziale.

Ma i dirigenti mondiali preferiscono sorvolare su tali prospettive decisamente più preoccupanti e imminenti. Il mondo della scienza, il cui ruolo e responsabilità sono venuti alla ribalta in relazione alla crisi pandemica, fa il proprio dovere quando prevede, come hanno fatto i membri del Bulletin of the Atomic Scientists americano, l’imminenza dello scoppio di uno scontro all’arma atomica o quando cercano di quantificarne l’impatto climatico e ambientale. Un conflitto nucleare produrrebbe un inverno nucleare e danni irreversibili alla biosfera con un degrado nell’agricoltura che a sua volta produrrebbe milioni di morti per fame. Tutto ciò in aggiunta ai danni e le vittime causati dall’onda di calore e dalle radiazioni causate dalle esplosioni nucleari.

Tali valutazioni si basano su dati certi quando si riferiscono alle esplosioni in aree desertiche, nell’atmosfera, nei mari e nel sottosuolo visto che provengono dagli oltre 2mila test nucleari effettuati negli ultimi 75 anni. Più difficile è quantificarne gli effetti per le esplosioni sulle grandi città e in genere sui centri abitati, che pure rimangono nel mirino delle armi nucleari. In tal caso ci si può solo affidare a simulazioni. Le tragedie di Hiroshima e Nagasaki oggi non farebbero più testo poiché dal 1945 a oggi si sono moltiplicati per 10.000! il numero e la potenza delle testate nucleari attualmente detenute dagli Stati. Nella lista delle 'figure notabili' che si sono recate al Memoriale della Pace di Hiroshima appaiono solo i nomi di pochissimi Capi di Stato in carica e nessuno proveniente dagli stati detentori dell’arma nucleare con l’eccezione di Barack Obama, unico presidente degli Stati Uniti d’America ad aver riconosciuto le responsabilità per il primo impiego dell’arma nucleare.

Vi si sono invece recati sia Giovanni Paolo II sia Francesco, quest’ultimo Papa visitando ambedue le città martiri. La maggioranza dei dirigenti mondiali preferiscono stare alla larga delle due città giapponesi onde evitare di esser esposti alla realtà dei pericoli di un conflitto nucleare. A Nagasaki, l’ultima ad aver sofferto un attacco nucleare, papa Francesco, oltre a rievocare il concetto già acquisito delle «catastrofiche conseguenze umanitarie dell’uso delle armi nucleari» ha anche affermato che analoghe conseguenze catastrofiche si produrrebbero nel campo ambientale.

Quest’ultimo concetto, nonostante la sua ovvietà, non è stato ancora riconosciuto a livello internazionale e non sono poche le potenze che ne osteggerebbero l’introduzione. La quinquennale Conferenza di riesame del Trattato di non proliferazione che si terrà a New York nel gennaio 2022 è la sede ideale per introdurre tale concetto. Vista l’attenzione che la comunità internazionale dedica oggi alle questioni ambientali è questo il momento per effettuare un passo in avanti sul percorso ancora da fare per ridurre la minaccia nucleare.

Ambasciatore, già presidente del Missile Technology Contro Regime (Mtcr), del Consiglio consultivo del Segretario generale dell’Onu per le questioni del Disarmo a New York e della Conferenza del Disarmo a Ginevra

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