mercoledì 16 gennaio 2019
Reddito di cittadinanza e requisito dei 10 anni di residenza
Discriminare i poveri non è possibile
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Il reddito di cittadinanza resta in sala parto, e la nascita tante volte annunciata è stata ancora una volta rimandata. Ma è senz’altro un bene che il governo cerchi di definire nei dettagli un provvedimento così importante, valutandone tutte le possibili implicazioni. Tra i nodi da sciogliere continua a far discutere quello dell’accesso degli immigrati.

Dopo l’incauto annuncio di riservarlo soltanto ai cittadini italiani, l’ultima anticipazione resa pubblica fa riferimento a un requisito di 10 anni di residenza in Italia sia per gli italiani sia per gli stranieri: ma per gli stranieri, che hanno comunque maggiore difficoltà a maturare il requisito, verrebbe richiesto anche il 'permesso di lungo periodo' che a sua volta può essere ottenuto solo da chi ha un reddito minimo: il che per un sostegno alla povertà appare di per sé paradossale. Insomma, un compromesso pasticciato, a fronte del quale Di Maio ha insistito: «Il reddito di cittadinanza è stato concepito per gli italiani».

Sono uscite anche delle cifre, in sé contenute, ma certamente in grado di far storcere il naso agli xenofobi militanti: oltre 200mila famiglie straniere ne potrebbero beneficiare. L’imbarazzo è evidente. Il Governo ha tra i suoi cardini la pregiudiziale sovranista 'prima gli italiani', ma deve fare i conti con l’art.3 della Costituzione, quello che tutela l’eguaglianza e la pari dignità sociale. Senza contare le norme europee: i cittadini della Ue, i cittadini extra-Ue lungo soggiornanti e i cittadini extra-Ue titolari di un permesso che consente di lavorare devono godere delle stesse tutele dei cittadini italiani.

Dieci anni di residenza ininterrotta sono il tempo richiesto ai cittadini extracomunitari per accedere alla cittadinanza italiana, mentre per i cittadini della Ue sono sufficienti quattro anni. Fissare un tempo così lungo come soglia per il reddito di cittadinanza significa in sostanza che il reddito è concesso ai soli italiani, più gli stranieri che avendo maturato i requisiti stanno aspettando la naturalizzazione, meno i cittadini della Ue che sono diventati italiani ma non hanno raggiunto i dieci anni di residenza nel nostro Paese. Va precisato che la Corte costituzionale si è già espressa su questioni assai simili.

Nel luglio 2018 (sentenza n.166) ha definito incostituzionale il requisito della residenza decennale sul territorio nazionale richiesto da una norma del 'pacchetto sicurezza' del ministro Maroni (2008) in base alla quale era necessario per accedere a un contributo per il pagamento del canone di locazione concesso agli indigenti (il cosiddetto 'bonus affitti'). Lo ha giudicato irragionevole e discriminatorio. Pur non contestando la possibilità di prevedere dei vincoli di radicamento sul territorio per poter fruire di determinati benefici, ha bocciato la norma giudicando la durata richiesta «sproporzionata ed eccessiva », a fronte di situazioni di estrema povertà.

Gli immigrati non sono necessariamente poveri, giacché 2,4 milioni sono titolari di una regolare occupazione, ma è pur vero che incidono per oltre il 30% sui cinque milioni di persone che versano in condizioni di povertà assoluta. L’idea trapelata da comunicati e anticipazioni, di fissare il requisito dei dieci anni per tutti, compresi gli italiani di rientro dall’estero, in modo da aggirare le norme antidiscriminatorie suona paradossale, iniqua e di dubbia tenuta costituzionale. Aggrava soltanto la discriminazione, non la lenisce. La Corte ha già censurato la «intrinseca irrazionalità» di aiutare solo i poveri stabili, anziché i poveri in quanto bisognosi. Discriminare è un brutto mestiere, e non è neppure un compito facile. I consulenti giuridici e i tecnici ministeriali chiamati a confezionare la norma sul reddito di cittadinanza non sono da invidiare. Quadrare il cerchio contemperando la volontà politica di privilegiare gli italiani, i vincoli di bilancio e le norme costituzionali che vietano le discriminazioni ha tutta l’aria di una missione impossibile.

Sociologo, università di Milano e CNEL

Avvocato, Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione

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