Una sentenza che segna un giro di boa, quella recente con cui la Corte Suprema del Regno Unito ha riconosciuto che una persona può essere solamente una donna o un uomo, a seconda del sesso biologico, cioè il sesso di nascita, il dato oggettivo del corpo sessuato con cui ogni essere umano viene al mondo. La soggettiva percezione di sé, invece, quando differisce dal sesso di nascita, può risultare in un apposito certificato, il Gender Recognition Certificate (Grc), che protegge le persone in queste condizioni da possibili di-scriminazioni, ma non definisce chi è donna e chi è uomo. Interessante il percorso seguito dai giudici inglesi per giungere a queste conclusioni: nelle 88 pagine della sentenza vengono rilette le norme che si sono succedute negli anni contro le discriminazioni sessuali, riconoscendo che le parole “uomo” e “donna” sono sempre state usate dal parlamento in riferimento al sesso biologico: al contrario, se si usasse il criterio soggettivo del Grc, si giungerebbe a conclusioni contraddittorie e a provvedimenti inutilizzabili. In altre parole, il quadro giuridico a contrasto delle discriminazioni sessuali, per essere efficace, deve prendere atto delle differenze sessuali e tutelarle, e non certo ignorarle o, peggio ancora, cancellarle.
Un giro di boa, quindi, con tutte le conseguenze che ne derivano, nel Regno Unito ma non solo: innanzitutto una divaricazione asimmetrica dei concetti di “sesso” e “genere”, con pesi differenti nella definizione dell’identità di sé. Il sesso segna la realtà oggettiva del corpo sessuato ed è criterio dirimente per definire uomini e donne, rispetto al genere, legato invece alla soggettiva percezione di sé. Percezione che va sempre rispettata e tutelata giuridicamente per scongiurare possibili discriminazioni; non può essere utilizzata, però, per modificare lo statuto umano, che vede solamente due identità sessuali, maschile e femminile, oggettive e stabili, che non possono variare a seconda che esista o meno un certificato che le riconosca.
D’altra parte, è evidente che cambiare sesso è impossibile: ogni cellula del nostro corpo è irreversibilmente maschile o femminile, nella sua struttura e nelle funzioni, e niente può mutarne lo stato; basti ricordare che, al di là degli interventi chirurgici per modificare il corpo, chi intraprende un percorso di transizione farmacologico, femminilizzante o mascolinizzante, deve continuare ad assumere ormoni per tutta la vita per mantenere le caratteristiche desiderate, quelle del genere percepito: se smettesse, ogni cellula del corpo ricomincerebbe a comportarsi secondo il sesso genetico, quello di nascita. L’immutabilità del sesso è insomma evidenza scientifica che, con questa sentenza, viene condivisa in ambito giuridico, e da conoscenza degli addetti ai lavori si allarga a tutti: si possono cambiare aspetto fisico e nome all’anagrafe, ma la natura maschile o femminile con cui si nasce resta per sempre; in quanto tale è riconosciuta nel linguaggio legale, e quindi nello spazio pubblico.
Di conseguenza, si riconosce che l’identità sessuata binaria, maschile o femminile, è intimamente connessa all’essere umano, e non può essere il risultato di una scelta individuale. Il che cambia radicalmente la prospettiva delle transizioni di genere, che in Uk restano ovviamente consentite, ma che avranno un esito finale differente rispetto a quello finora rappresentato: chi seguirà un percorso di transizione dovrà essere consapevole di non poter abbandonare il sesso di nascita, e i consensi informati in ambito sanitario dovranno essere estremamente chiari, a riguardo. Una persona nata uomo che si sente donna potrà vestirsi da donna, modificare il suo corpo per assumerne i tratti, cambiare il nome all’anagrafe, potrà invocare la legge per denunciare discriminazioni subìte sia a causa della sua transizione, sia per il fatto di essere percepito, dagli altri, come una donna: resta, però, un uomo, e non potrà avere tutte le tutele che spettano alle donne.
Ad esempio: «Le disposizioni legate alla gravidanza e alla maternità sono basate sul fatto della gravidanza e del parto. Per una questione di biologia, solo le donne biologiche possono restare incinte. Perciò queste disposizioni sono inapplicabili a meno che “uomo” e “donna” abbiano un significato biologico». Sarà interessante seguire l’applicazione capillare di questa sentenza, con inevitabili effetti a cascata, anche al di là delle frontiere britanniche, che stanno riaprendo il dibattito bioetico, giuridico e culturale intorno ai fondamenti dell’umano.