Migliaia di morti in guerra. Ognuno come il mio bimbo in braccio
Sono 500mila i russi caduti in Ucraina; 60mila le vittime a Gaza. Tutti figli. Quanta fatica ogni giorno, quante notti insonni, di gioco e tenerezza, per farne uomini. E che ne è stato fatto

Le cifre dei soldati russi morti per riconquistare un pezzo di Impero perduto sono largamente imprecise, ma spaventose: almeno 500mila ragazzi russi sono rimasti in Ucraina. E intanto, a Gaza, 60mila donne, vecchi e bambini uccisi in due anni di guerra. E quei giovani israeliani che spesso non vorrebbero partire, e a volte non ritornano.
Ogni giorno questi numeri ci vengono ripetuti, tanto che ormai possono sembrare semplicemente cifre. A me però succede, stranamente, di sussultare invece più forte ogni volta, a questi bollettini. Credo che sia per via del bambino di nove mesi, figlio di mia figlia, che ho spesso con me. Con Giovanni in braccio, i 500mila caduti russi assumono tutta un’altra concretezza: non una moltitudine indefinita, ma 500mila che vent’anni fa o poco più erano come questo bambino. Esattamente come lui: con la stessa fiducia senza limiti che si allarga negli occhi dei nostri figli, appena venuti al mondo. Come se si aspettassero solo del bene.
Proprio il contrasto fra gli occhi di Giovanni e quei conteggi di morti, mi atterrisce. Ognuno era come questo qui: e, mio Dio, che ne è stato fatto. Il bambino con il peso del suo corpo, con il pianto, e la fame, e il sonno abbandonato e inerme, è vita calda, pulsante: senza parole mi dice ogni giorno quanto ci vuole, di fatica, di notti insonni, di gioco e tenerezza, per fare un uomo. E Putin e Netanyahu oggi, e altri, e tanti altri nella storia, di figli della loro gente, o dei nemici, ne hanno mandati al massacro a milioni. È qualcosa di cui non mi capacito. Come una assurda cecità su ciò che è lampante: ogni uomo è unico, è una storia, è un amore coltivato lentamente. E i dittatori sembrano non ricordarsene, in una totale amnesia.
Il bambino nell’abbandono del sonno si fa come più pesante fra le mie braccia. Davanti a un tg che continua a elencare morti, immagino l’assurdo: una impossibile “rieducazione” per Putin, Netanyahu e gli altri. Una condanna così lieve, rispetto alle loro responsabilità: dover seguire ogni giorno, dal parto, il crescere di un bambino. Assistere alla trepidazione del travaglio, al primo grido, quando l’aria invade i polmoni, al primo abbraccio. Vedere quanto tempo occorre poi, perché quel neonato sorrida, perché le sue mani sappiano afferrare un oggetto, perché cammini; mentre la voce nella lallazione ricorda le prime note di un alunno al pianoforte, sconnesse, ripetute, allegre.
Una condanna apparentemente mite, per chi ogni giorno decide di mandare altri mille a morte. “Condanna” a vegliare notti intere, quando lui non dorme. Vederlo malato, febbricitante, magari senza i farmaci necessari. Vederlo guarire e mangiare voracemente, inseguirlo mentre va a gattoni per la casa. E notti, ancora, a vegliare, e pannolini, quanti, da cambiare. Portarlo a scuola il primo giorno, lasciare andare la sua mano. Spingerlo sulla bici una mattina, dargli l’abbrivio, perché pedali da solo. Guidare la matita sui quaderni, rispondere alle sue domande: chi ha fatto le stelle? E perché quel compagno non torna? Cosa vuol dire, morto? Quanto ci vuole, ricapitolo con Giovanni in braccio, per fare un uomo. E quelli, niente: li precettano, li mandano al fronte a vagoni, come bestiame. O danno ordine di bombardare, e 30 o 50 donne e bambini cadono in un giorno, a Gaza, o muoiono di fame.
Ogni figlio è l’incommensurabile, qualcosa che ci viene misteriosamente dato, e non potremmo darci da soli. Più preziosi dell’oro. E i dittatori, i Grandi, che maneggiano questo oro come fosse ghiaia tratta dalle cave, e ne fanno polvere.
Ogni figlio è l’incommensurabile, qualcosa che ci viene misteriosamente dato, e non potremmo darci da soli. Più preziosi dell’oro. E i dittatori, i Grandi, che maneggiano questo oro come fosse ghiaia tratta dalle cave, e ne fanno polvere.
Si potesse condannarli non a morte, come pure verrebbe da desiderare, ma invece a essere chiusi in una casa qualunque, a vedere che cos’è, un figlio: il lungo pellegrinaggio che ne fa un uomo. Una condanna lunga sarebbe, certo, ma non feroce. Costringere i Grandi a ricordarsi cos’è la vita di ciascuno, quanto immensa, e quanto oscuro e umile l’accompagnarla – fatica, nella storia, sempre spettata alle donne. Condannarli a vedere la vita. Assurdo, certo, pura utopia. Sperare che un dittatore accecato nei suoi calcoli, assorto su una mappa sulle nuove “unità” che gli occorrono (ventimila, trentamila), improvvisamente riconosca l’evidenza che ha dimenticato: ognuno di quei ventimila è un uomo. Ognuno è stato un figlio, ognuno un dono.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






