mercoledì 30 settembre 2009
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Non è semplice valutare con serenità e distacco un provvedimento come lo scudo fiscale (anzi, è quasi impossibile se ci si pone in una rigida logica di schieramento o se ci si fa prendere da opposte indignazioni contro chi non paga le tasse o contro le tasse inique). Ma noi vorremmo provare a sottoporre a questo tipo di giudizio il provvedimento sul rimpatrio dei capitali. Un sistema di norme ormai definito, e che va analizzato soppesandone con attenzione i costi e i benefici. Solo così, forse, è possibile trarre da questa vicenda una "morale" impegnativa per l’intera comunità nazionale e utile per ridare un significato pieno al termine «legalità».Proviamo a spiegarci. Sul primo piatto della bilancia ci sono 300 miliardi. Secondo una stima bancaria sarebbe, infatti, questa la monumentale marea di euro fatta rifluire in "paradisi" esteri da imprese e (ricche) famiglie italiane. Se per effetto dello scudo fiscale ne rientrassero in patria anche solo un terzo, il beneficio per le casse pubbliche sarebbe di circa 5 miliardi. In tempi di crisi e di crollo delle entrate, sindacare sul "profumo" di un tale tesoro rischia di sembrare un discutibile esercizio retorico. Soprattutto se a beneficiare dell’interessato pentimento dei campioni dell’evasione fiscale fossero settori come la scuola, l’università, l’economia sociale.Sul secondo piatto della bilancia, c’è il peso dei costi che l’operazione porta con sé. Per spingere a riportare i capitali in Italia il governo applicherà una mini-tassa del 5% e si prepara a chiudere gli occhi sulle somme macchiate da reati tributari e societari, come il falso in bilancio. Il messaggio veicolato dall’operazione-scudo rischia, insomma, di avere effetti deleteri. Alla terza sanatoria in neanche dieci anni, dopo quelle del 2001 e del 2002, l’onesto contribuente ha poco da rallegrarsi: si possono lanciare proclami e fare grandi battaglie su fannulloni, burosauri, caste e baroni ma quando si tratta di evasori una soluzione premia-furbi salta sempre fuori.I due piatti non staranno mai in equilibrio. A meno che il varo e l’accettazione dello scudo fiscale 2009 non siano davvero accompagnati dalla messa in campo di un’immediata e credibile offensiva contro l’evasione fiscale. E dall’impegno a scolpire nel marmo (e non solo sulla carta) la solenne volontà di non riproporre più una sanatoria di questa natura e di questa portata.Alcuni segnali sembrano indicare che una svolta nella lotta alla frode fiscale e nel recupero delle somme nascoste è oggi davvero possibile. Purché i colpi a effetto – come la confisca degli orecchini di Maradona, la messa nel mirino di qualche altro vip e prima ancora le verifiche sui megayacht di vacanzieri ufficialmente nullatenenti – siano il prologo di un’azione coerente e continua. Solo la percezione di un fisco equo, attento e serio indurrà gli esportatori di capitali a pagare strutturalmente più di quel 5% di sanzione oggi proposto (e che è di per sé un’ammissione di debolezza dello Stato) e porterà noi tutti a pagare un po’ di meno.Sarebbe tuttavia illusorio – e veniamo a un punto cruciale – pensare di porre fine agli scandali fiscali senza uno scatto di civiltà e un ampio recupero di moralità. Deve mutare il giudizio circa il comportamento del singolo evasore. Perché uno Stato – neanche il meglio strutturato – nulla può se l’illecito viene condonato già all’origine, nella coscienza comune come in quella individuale, e se il comportamento di chi evade le tasse è tollerato nel giudizio della stessa parte defraudata. Ci sono in ballo principi dell’etica sociale – l’onestà, la trasparenza, la responsabilità... – che non possono più essere trascurati o attenuati in un’ulteriore e devastante concessione a certo imperante relativismo.L’atto con cui si sta varando questa nuova sanatoria deve, insomma, tracciare un invalicabile confine. E la comunità nazionale deve saper alzare un suo scudo – di giudizio morale ed economico – a difesa di risorse che appartengono a tutti. I soldi per i servizi essenziali e i miliardi necessari alle grandi riforme strutturali del nostro welfare – la riforma degli ammortizzatori sociali e il varo del sospirato quoziente familiare – prima ancora che nel rimpatrio dei capitali si trovano in ciò che origina quei tesori occultati: i 250 miliardi all’anno di ricchezza, quasi il 20% del Pil, che anche l’accettazione collettiva e la rassegnazione contribuiscono a relegare nel «sommerso». E che invece rappresentano una gigantesca sottrazione di risorse ai progetti di solidarietà e di equità sociale.
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