martedì 7 ottobre 2014
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I francesi ci stanno dando una lezione: le grandi tematiche della bioetica attuale (la procreazione eterologa, l’utero in affitto, l’omoparentalità per via artificiale o adottiva, la trascrizione automatica di atti di nascita eterologa avvenuta all’estero) sono da diversi mesi oggetto di un vigoroso dibattito pubblico, attivato da diversi movimenti, ma al quale – archiviata la fase supponente e dirigista anche in queste materie che così cara è costata al Partito socialista e al presidente Hollande – sta contribuendo non poco lo stesso Governo della Gauche, sia nominando commissioni di studio particolarmente qualificate (prive della timidezza che ormai contrassegna il nostro Comitato nazionale di Bioetica), sia attraverso interventi espliciti da parte di uomini politici di primo livello. Come quello dello stesso primo ministro Manuel Valls. In un’intervista a 'La Croix' (di cui 'Avvenire', in solitudine qui in Italia, ha dato ampia notizia sabato 4 ottobre), Valls ha affermato che il no alla maternità surrogata è una «scelta inflessibile» non solo del governo, ma dello stesso presidente Hollande e che la Francia pensa di contrastare la maternità surrogata anche a livello internazionale, attraverso opportune azioni diplomatiche, per indurre i Paesi dove l’utero in affitto è legale a vietarne il ricorso a cittadini stranieri, per stroncare in tal modo ogni tentazione di «turismo procreativo». Non c’è male, se consideriamo che in Italia il governo ha evitato di pronunciarsi su questioni bioetiche assai serie, ma purtroppo ora meno scottanti (come la regolamentazione dei centri di procreazione assistita pronti, dopo l’infausta sentenza della Corte costituzionale, a praticare l’eterologa), e ha rimandato ogni decisione in merito direttamente al Parlamento.  Come andranno le cose Oltralpe è difficile a prevedersi: non a caso il coordinatore della Manif pour tous, cioè del movimento che ha tenuto instancabilmente viva la polemica contro ogni manipolazione della vita, è tutt’altro che tranquillo. Non ha affatto torto, se si considera con quanta arroganza i fautori di una bioetica 'liberale' (come Irène Théry), invece di entrare nel merito delle questioni, continuano a smussarle, insistendo nel dire che il riconoscimento legale di nuove forme di famiglia e di procreazione sarebbe solo questione di tempo e di «maturazione» della pubblica opinione: come se il dibattito (per esempio in merito al diritto alla procreazione artificiale a carico di una coppia di donne) fosse riducibile al contrasto tra 'conservatori' e 'progressisti' (e quindi tra 'cattolici' e 'laici') o, per usare vecchie, ma efficaci espressioni di Umberto Eco, tra 'apocalittici' (terrorizzati dalle nuove tecnologie) e 'integrati' (coloro che invece ne sarebbero entusiasti). Non è così, come dimostra la petizione contro l’utero in affitto, nuova forma di servaggio femminile, pubblicata da 'Libération' (e di cui, ancora una volta, solo 'Avvenire' si è per ora incaricato di informare i lettori italiani) e firmata da numerose personalità di area laico-socialista. Dovrebbe essere chiaro, per chi riesca a togliersi gli occhiali dell’ideologia, che la questione non ha in prima battuta uno spessore religioso, ma antropologico e che la lotta contro la mercificazione del corpo femminile e delle nascite dovrebbe essere percepita come dovere di tutti e non solo dei credenti.  Eppure, incredibilmente, molti continuano a non capirlo, a partire dallo stesso presidente della nostra Corte Costituzionale, che in un’infelice intervista volta a giustificare la nota sentenza con cui la stessa Corte ha fatto cadere il divieto della procreazione eterologa, ha voluto sottolineare (da, ha detto, «cattolico»!) come egli abbia ritenuto un diritto umano fondamentale quello di poter aver comunque un figlio, quindi anche attraverso gameti 'donati'. Che purtroppo tali 'donazioni' siano assai spesso un rozzo trucco, che nasconde cospicue remunerazioni, che il diritto all’identità del nascituro da eterologa venga in tal modo pesantemente leso, che attraverso questi artifici si apra la porta a pratiche indirette, ma non perciò meno gravi, di eugenetica, che con la liberalizzazione della procreazione eterologa si stia creando, anzi già si sia creato, un mercato procreativo, tanto più sconcio quanto più nasconde profitti, interessi e svariate forme di sfruttamento, manipolando perfino le espressioni linguistiche più elementari (la più clamorosa delle quali è quella di «donatore/donatrice di gameti a pagamento»!), di tutto questo il governo socialista francese sembra che cominci ad accorgersene, manifestando una forte intenzione di reagire. In Italia è arrivato il momento di riconoscere, per onestà intellettuale, quanto anche la Francia laica e socialista – dopo la lacerazione al suo stesso interno a causa della introduzione di forza del matrimonio gay – stia facendo i conti con le grandi questioni di bioetica e ci stia sopravanzando su temi cruciali. Dovrebbe essere occasione per noi tutti, e soprattutto per politici e intellettuali, di severi esami di coscienza.
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