martedì 27 settembre 2022
Fratelli d’Italia spopola al Centro-Nord e nelle periferie delle metropoli, M5S domina al Sud, il Pd tiene nelle roccheforti rosse e vince nei centri urbani. La concorrenza punisce il centrosinistra
Ecco come sarà il Parlamento: i seggi, le coalizioni. La lista degli eletti
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Un partito di destra primo nei consensi e proiettato verso Palazzo Chigi. Il voto del 25 settembre 2022 ci consegna una novità assoluta per l’Italia repubblicana. Ma ci conferma nel contempo anche il radicamento dello schieramento moderato/ conservatore nella politica italiana. Che con il risultato di ieri si riavvicina, pur senza raggiungerlo, al 47% sfiorato nel 2008, ultimi fasti dell’era berlusconiana. Con il quasi 44% dei voti l’alleanza guidata da Giorgia Meloni ha recuperato così 7 punti percentuali rispetto al 2018, quando il centrodestra si fermò al 37%.

LA LISTA DI TUTTI GLI ELETTI


Ma allora gli equilibri elettorali furono sconvolti dal boom del M5s che superò il 32% dei voti, piazzandosi nettamente al primo posto. Fdi, che è schizzata ora al 26% dal 4,3 che aveva, è riuscita a intercettare parte di quei voti in libera uscita, oltre a cannibalizzare con la sua linea di opposizione al governo uscente gli alleati Lega e FI, usciti dimezzati dal responso delle urne. Del ridimensionamento dei pentastellati, finiti al 15,5%, (pur recuperando con Giuseppe Conte in versione anti-Draghi diversi punti rispetto ai catastrofici sondaggi di un paio di mesi fa) non ha tratto vantaggio invece il Pd di Enrico Letta. La coalizione della sinistra moderata ha raggiunto il 26% a fronte del 22% di 5 anni fa.

Ma stavolta aveva al suo interno la lista di Verdi e sinistra italiana (3,6%) mentre allora i bersaniani di Leu giocarono in solitaria la loro partita. Il Pd in quanto tale con il suo 19% è finito solo di un’incollatura sopra al 18,7%, il minimo storico toccato dall’allora segretario Matteo Renzi. E oltre 6 punti sotto il 25,5% raggiunto nel 2013 da Pierluigi Bersani che pure rimediò allora una vittoria dimezzata (senza maggioranza al Senato) che gli costò la poltrona di Palazzo Chigi. Il richiamo del voto utile non è scattato. A ridimensionare le ambizioni dem c’erano stavolta, sul fianco sinistro, la linea social-progressista del 'nuovo' M5s, e al centro il cosidetto Terzo polo (quarto nei voti con il 7,8%) di Carlo Calenda e Matteo Renzi. Formazione che a sua volta ha centrato l’obiettivo minimo di una presenza in Parlamento ma non quello strategico della doppia cifra: ovvero la stazza che, forse, le avrebbe permesso di scompaginare le coalizioni elettorali e porsi come king maker di nuovi equilibri.

La tenuta di Forza Italia all’8,1% (pur in caduta rispetto al 14% del 2018) ha frenato l’espansione dei centristi, che a loro volta in diversi collegi uninominali hanno contribuito alla sconfitta dei candidati Pd. Caso emblematico il collegio uninominale romano dove Emma Bonino ha subìto la concorrenza di Calenda finendo sconfitta per tre punti dalla esponente del centrodestra. Nel complesso la nuova geografia parlamentare (dati non ancora definitivi) assegna alla coalizione a trazione Fdi un ampio margine di maggioranza. 235 seggi su 400 alla Camera e intorno ai 115 su 200 al Senato. A Montecitorio la coalizione di centrosinistra avrà 80 seggi, il Movimento 5 Stelle 51, il Terzo Polo 21. A Palazzo Madama 39 seggi vanno a a Pd e alleati, 28 ai 5s e 9 ad Azione/Iv. Si tratta di rapporti di forza che, se la coalizione di governo resterà unita, dovrebbe consentirle una navigazione relativamente agevole alle Camere. Ma la destra resta comunque sotto i due terzi dei parlamentari, la soglia che permetterebbe di modificare la Costituzione senza passare dal referendum popolare confermativo. Ma se questi sono i numeri generali cosa è successo nella geografia del voto?

L’analisi condotta dall’Istituto Cattaneo suggerisce quattro tendenze di fondo. Il partito di Giorgia Meloni si radica soprattutto al Centro e al Nord-Est, mentre non sfonda al Sud. Il Partito democratico resiste, a fatica, nei confini della vecchia 'Zona rossa' e nei centri metropolitani. Il Movimento 5 stelle si conferma come partito prevalentemente del Sud, mentre la Lega di Salvini torna in parte ai vecchi confini della Lega Nord di Umberto Bossi.

Fratelli d’Italia assomiglia così oggi più ai leghisti di pochi anni fa, con percentuali molto importanti soprattutto in Veneto e Lombardia, che ai predecessori di Alleanza Nazionale, salvo che per il tradizionale radicamento della destra nel Lazio. Nel Centro-Sud invece l’espansione della Meloni è limitata dal forte risultato del M5s, che ha toccato picchi del 40% in Campania e del 30% in Sicilia, Puglia e Calabria.

Per converso in Veneto e Lombardia la formazione di Conte si ferma al 67%. La Lega, all’opposto del M5s, resta a doppia cifra nel Lombardo-Veneto, in Piemonte e Friuli-Venezia Giulia mentre è più debole nelle metropoli. Nel Sud veleggia intorno al 5-6% anche se rispetto al passato i divari con le percentuali del settentrione sono meno accentuati. Quanto al Partito democratico resiste, a fatica, nella ex zona rossa di Emilia e Toscana e nei centri delle aree metropolitane. I candidati di centrosinistra all’uninominale della Camera vincono ad esempio nei collegi centrali di Genova, Torino, Milano e Roma. Ma basta spostarsi in quelli più periferici perché i risultati premino il centrodestra. Che a sua volta appare più debole della media nelle zone urbane più cosmopolite e socialmente avanzate: una tendenza che accomuna l’Italia a quanto accade negli Stati Uniti e in altri Paesi europei.

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