martedì 26 gennaio 2016
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Gentile direttore,
sono un lavoratore statale: e già scrivendo queste parole quasi mi vergogno, per la solita campagna mediatica che si sta abbattendo su di noi, preludio, come succede in questi casi a qualche “bastonata” sul nostro groppone. So di essere un onesto lavoratore, in certi periodi in ufficio abbiamo fatto anche le 7 o le 8 di sera (compresa una Vigilia di Natale), in altri periodi obiettivamente c’è meno lavoro, ma comunque faccio sempre il mio dovere. Eppure, di questi tempi, anche al mio indirizzo in quanto membro della categoria “dipendente pubblico” sento da tutte le parti scagliare parole amare è una su tutte: “fannulloni”! Come se non fosse offensiva. A me, invece, ferisce profondamente (ed è così, glielo assicuro, per molti altri colleghi). Ripeto: io lavoro seriamente, e da oltre 30 anni. Ho visto, certamente, persone lavorare pochissimo, ma anche tanti altri lavorare assiduamente. Pensi, poi, che col mio stipendio (di circa 1.500 euro al mese) ho dovuto mantenere per anni (dal 1993) una famiglia di 7 persone, perché mia moglie (maestra) solo nel 2007 è diventata di ruolo. Eppure, veniamo descritti tutti quasi come dei criminali. Mi chiedo: è giusto che ci caccino via dopo 48 ore senza neanche poterci difendere, quando, sappiamo benissimo che ci sono “personaggi” (e non sono pochi) che hanno rubato milioni, e che in tutti questi anni abbiamo visto farla sempre franca? Che Paese è questo, dove ci sono sempre due pesi e due misure, tra potenti e no. La verità è che noi non contiamo niente e nei periodi di “magra” siamo un ottimo osso da spolpare (fino al midollo). Mi scuso per lo sfogo e la ringrazio.
 
Fabio Bentivoglio
Innanzi tutto, gentile signor Bentivoglio, voglio esprimere la mia solidarietà a lei e a tutti i dipendenti onesti e impegnati delle nostre pubbliche amministrazioni centrali e locali. Ce ne sono tanti, e meritano rispetto e spesso anche gratitudine non solo perché «lavorano assiduamente», ma per il tratto umano e per la passione civile con cui lo fanno cercando di rendere sostenibile il peso della nostra burocrazia ai concittadini con cui entrano in contatto o che servono “a distanza”. Detto questo, vengo alla questione della “spada di Damocle”, cioè alla minaccia di licenziamento rapidissimo che ora pende sulla testa di statali e affini in caso di grave assenteismo e di flagrante infedeltà al servizio che si è tenuti a svolgere. Mi ripeto da una vita un adagio che ammonisce e rincuora e che suona così: «Male non fare, paura non avere». Penso che sia il sottotitolo perfetto per questa storia. E che dunque le persone come lei debbano vivere con serenità e persino con sollievo l’introduzione di una regola che non tocca chi fa il proprio dovere e, giustamente, rende finalmente “vulnerabili” coloro che invece non lo fanno e, forti di una scandalosa impunità, hanno screditato per anni un’intera categoria di lavoratori. Quanto ai “due pesi e due misure”, caro e gentile amico, purtroppo esistono e resistono. Ma sempre meno nelle realtà dove la spregiudicatezza, l’arroganza e la corruzione nell’esercitare il proprio pezzo (grande o piccolo) di “potere” vengono sempre più concordemente disapprovate. A questo dobbiamo tendere con tenacia, questo dobbiamo insegnare ai nostri figli. E, poi, misure come quelle anti-furbetti impongono un rigore ben maggiore anti-furboni.
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