sabato 1 ottobre 2016
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L’Ungheria di Viktor Orban punta a sigillare con un voto referendario il suo "muro" anti-profughi di modernissimo e tagliente filo spinato. Questo Paese, prezioso pezzo d’Europa e testimone di un’antica e tenace civiltà, dovrebbe accogliere non più di 1.294 richiedenti asilo, in base alle quote Ue. Ma il suo governo non vuole saperne né di quegli uomini e quelle donne in fuga dalla guerra e dalla persecuzione né, in futuro, di alcun altro.

L’Ungheria di Viktor Orban si è data una Costituzione che si apre rivendicando la «virtù unificatrice della cristianità» posta a impegnativo fondamento della nazione. Si tratta di un testo solenne nel quale si dichiara anche il «dovere di aiutare i poveri e gli indigenti» e si afferma che la dignità dell’uomo si fonda semplicemente «sulla vita umana», riconosciuta senza condizioni e «protetta sin dal momento del concepimento».

Eppure l’Ungheria, anche ma non solo con il referendum che il partito nazionalista di governo promuove, continua a dimostrare di voler contraddire aspramente quell’impegno e quella richiamata virtù. E la cronaca – in una terra in cui è purtroppo diventato molto duro e difficile anche essere liberi cronisti – si è incaricata di quantificare con impietosa chiarezza la differenza tra una vita degna di accoglienza e una vita da rifiutare: trecentomila euro.

Trecentomila euro, cioè esattamente il prezzo del "visto" che chi ha mezzi economici può comprare per far cadere, davanti a sé e alla propria famiglia, qualsiasi "muro" (e infatti, sinora, quasi diecimila russi e cinesi l’hanno già acquistato). Trecentomila euro, cioè l’indecente misura della proclamata indegnità dei poveri che non hanno che la propria indigenza. Quegli stessi poveri e indigenti che il Vangelo rivela essere il volto e la carne stessa di Dio, e questo è certo decisivo soltanto per chi crede, ma che anche la Costituzione d’Ungheria proclama civilmente di voler proteggere.

Le parole che usiamo sono il giudice più severo delle nostre incoerenze. Tanti, nei secoli, hanno tentato di fare della "cristianità" la bandiera di appena un pezzetto di mondo, sbagliando sempre, anche se non sempre a fin di male. Ma "vita" e "poveri" sono parole che non danno scampo. Gemono e, addirittura, sanguinano nella mani e sulla bocca di chi pretende di usarle per seminare sospetto, rifiuto e odio. E per consegnarsi alla logica del mercato, che assegna a tutto, anche alla vita, un "prezzo giusto".

È una lezione buona per l’Ungheria, e non solo per l’Ungheria in questa nostra Europa che nega o confonde le sue radici e persino il senso della sua tradizione cristiana e, dunque, rischia di dissipare la sua vera forza e di non sapere più l’essenziale di sé e del suo ruolo nel mondo.

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