In semi-libertà anche di notte, l'eccezione diventi buona regola
giovedì 29 dicembre 2022

In questi giorni di Natale e di feste di fine anno, ricchi di doni e tavole imbandite, un gruppo di persone ha scelto di non sedersi a degustare le prelibatezze di stagione. Sono i Garanti dei detenuti, guidati dal loro portavoce nazionale, Stefano Anastasia, garante della Regione Lazio. Uno sciopero della fame a staffetta, per sfidare il Governo su un tema specifico, che difficilmente lascia indifferenti e, ancor meno, può essere derubricato a questione di nicchia.

Di che si tratta? Tra due giorni, il 31 dicembre, scadrà una norma transitoria, figlia della legislazione del periodo del Covid-19, che ha consentito a circa 700 persone detenute, in regime di semi-libertà, di passare più di due anni al lavoro fuori dal carcere. La pena alternativa della semi-libertà, infatti, prevederebbe che la persona detenuta sia durante il giorno al lavoro, fuori dalle mura carcerarie e la sera rientri in cella, per la notte. Con l’arrivo del Covid-19 e il rischio di contagi, i “semi-liberi” beneficiari della norma transitoria, sono rimasti fuori, anche la notte. Per due anni. Dando buona prova di reinserimento in società: salvo casi eccezionali, in cui la licenza straordinaria non è stata rinnovata o è stata revocata, il comportamento registrato è stato irreprensibile. Ora, passato il Covid-19, scade la norma transitoria.

Qui incomincia la sfida dei Garanti, iniziata dopo che il Senato ha bocciato alcune settimane fa un emendamento del Senatore Giorgis per prorogare la norma. L’ultima occasione è il cosiddetto Decreto Milleproroghe, che il Governo ha approvato subito dopo Natale, prima dei titoli di coda del 2022, come ogni anno. Il testo c’è questa proroga no, ma si può rimediare. È ovviamente ammessa l’obiezione: era una norma transitoria, è scaduta, nulla di strano nel tornare al regime ordinario. Ma qui sorge la controobiezione, che muove i Garanti a digiuno e, con loro, tutti coloro che credono nel valore rieducativo della pena previsto dalla Costituzione. Si fonda sulla concretizzazione di tale principio costituzionale che la Consulta ha insegnato sin dagli anni Ottanta del Novecento. Richiedendo un continuo «adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti, in termini di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento» (Sentenza 50/1980). Dando colore al principio di proporzionalità delle pene inflitte, che rende possibile un loro «adeguamento individualizzato». Avanzando il concetto di « progressività trattamentale» e quello della pena come «strumento dinamicamente volto ad assicurare la funzione rieducativa » (Sentenza 445/1997).

Ma a quale a rieducazione punta uno Stato che, dopo aver messo alla prova delle persone detenute con una licenza temporanea figlia della pandemia, ora, senza colpo ferire, fa scadere la deroga in assenza di fattori di rischio? E, peraltro, rioccupa dei posti letto in carceri già notoriamente sovraffollate? Si tratta di circa 700 persone. Hanno beneficiato di un percorso di reinserimento accelerato da una circostanza eccezionale. Non c’è motivo di sbarrare il loro cammino e di costringerli a rientrare in cella proprio la notte di San Silvestro, ma semmai di rallegrarsene, respingendo ogni idea di regressione nell’applicazione della pena, se non ci sono elementi di fatto che la giustificano. Oggi, poi, che il Ministero della Giustizia è guidato da Carlo Nordio, un competente ex magistrato, dedicatosi una vita al diritto penale, già a disagio per la situazione delle nostre carceri, il permanere della svista nel Milleproroghe avrebbe un gusto amaro. Assaporabile, paradossalmente, anche da chi, in questi giorni, ha saltato il panettone.

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